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Annalisa Minetti incanta e commuove il pubblico del Civico In evidenza

di Anna Mori – Attraverso il suo racconto ha voluto comunicare che non bisogna fermarsi davanti alle difficoltà, ma perseverare per realizzare il propri obiettivi.

Ospite d’onore al “Gran Gala della Donna 2024”, Annalisa Minetti che ha incantato e commosso il pubblico raccontando la sua storia, dai primi problemi alla vista a come ha reagito dopo la diagnosi che non le lasciava speranze.

Annalisa ha iniziato il suo racconto spiegando che da piccola le sarebbe piaciuto molto essere ascoltata almeno avrebbe evitato di fingere per un certo periodo di tempo. “Credo di aver vissuto cose abbastanza importanti e di aver trovato e intuito che il disagio poteva essere un’opportunità. Avevo solo 18 anni quando ho perso la vista, ma in realtà ne avevo 12 quando ho percepito che iniziavo a perdere dettagli, magari vedevo un quadro che piano piano perdeva elementi. Quando questo accadeva, gli insegnanti dicevano che avrebbero parlato con i miei genitori. Quindi alla prima visita dall’oculista, il medico disse che in realtà erano problemi psicologici e che volevo soltanto essere ascoltata. Se un medico ti dice questo, pensi di essere tu a crearti queste fantasie e quindi non è giusto dare preoccupazioni ai genitori”.

Annalisa è la prima di quattro figli, suo fratello, il secondo, aveva gravi patologie cognitive, un ritardo mentale. “Non dovevo assolutamente gravare sulla mia famiglia. Capivo di vedere diversamente dagli altri, però sapevo che quello che succedeva, mi avevano detto, era solo dentro la mia testa”.

Da quel momento in poi ha iniziato a fingere di vedere, quindi se non scorgeva le righe del quaderno, andava a casa e rivedeva tutto sotto una grande luce, cercando di stare sulle righe con molta attenzione. Quando non riusciva a vedere la lavagna, era talmente attenta a quello che diceva la professoressa, che riusciva a scrivere simultaneamente tutto.

Ha proseguito raccontando che quando doveva arrivare a scuola era un’impresa, fingeva di parlare al telefono perché le dava la possibilità di far finta di essere distratta nel caso scontrasse un palo, un cestino dell’immondizia, o una persona. “Non sempre riuscivo ad arrivare a scuola: se non trovavo la persona che faceva lo stesso tragitto, spesso scendevo alla fermata del bus prima o dopo”.

Per tutte queste cose sapeva di non poter essere ascoltata. “A diciotto anni dovevo dare la maturità con grande fatica e il professore di informatica mi disse che secondo lui avevo seri problemi agli occhi ed era necessaria una visita dallo specialista. Così, senza dirlo ai miei genitori, mi accompagnò dal medico, che in qualche modo mi ha liberata di un grande peso, mi ha fatto una visita accurata e mi ha chiesto se avessi mai visto le stelle, risposi di no”.

La diagnosi fu chiara: retinite pigmentosa, di lì a poco avrebbe perso del tutto la vista, anche perché era arrivata troppo tardi.

“Da quel momento, invece di piangere disperata, ho provato una grande libertà, potevo smettere di fingere e di giustificarmi. Fino a quel momento avevo subito la mia malattia, ma da quell’istante potevo dire che ero non vedente e che potevo anche chiedere aiuto, la mia vita è cambiata completamente. E’ vero c’è stata la disperazione, l’accettazione e la consapevolezza di dover creare una dimensione diversa attorno a me. Mi sono chiesta ‘Perché a me?’ e mio padre mi ha risposto ‘Perché non a te? Avrai sicuramente modo di interagire con gli altri e diventare un esempio’”.

Annalisa disse a sua mamma di non tirare su e giù le tapparelle della cameretta, perché voleva svegliarsi al mattino e comprendere che c’era ancora luce. “Una mattina mi sono svegliata, e non vedendo più la luce mi sono arrabbiata molto con mia mamma dicendole che non doveva tirare giù la tapparella. Invece l’ho sentita piangere e ho capito. Mi sono disperata nuovamente”.

Ancora una volta suo papà le disse una frase importante: “’Se non puoi vedere la luce, allora devi diventare tu luce’ e per esserlo dovevo diventare persona e non ascoltare tutti coloro che mi dicevano che non vedendo non avrei potuto più fare nulla, ogni giorno sentivo persone che mi dicevano quello che non potevo più fare e nessuno mi diceva quello che potevo fare ancora, o come farlo con un metodo diverso”.

“Allora mi sono chiesta: ‘Sono io non vedente o il mondo intero?’. Mi sono resa conto che invece ho fatto molte più cose dal momento in cui ho perso la vista. La ‘vista del cuore’ è un grandissimo vantaggio, ho aperto quindi il cassetto dove c’erano tutti i sogni di una ragazza”.

Ha provato cosa vuole dire guidare una macchina, in un posto chiuso senza che nessuno passasse, si è tolta la soddisfazione di fare sport, “che non è uno strumento debilitante, ma è formativo, e grazie all’aiuto di una persona, che mi guida e mi fa correre più veloce della luce, o che mi fa sfrecciare in un tandem più rapidamente di quanto si possa pensare, sono riuscita ad avere dei risultati e a fare qualsiasi cosa. Arrivare ad un’Olimpiade, vincere mondiali ed europei. Ma non era importante avere la medaglia, ma il percorso che soddisfaceva le mie aspettative, dimostrando che si può fare”.

Annalisa ha avuto anche due figli che ora hanno 16 e 6 anni, due figli che non ha fatto curare da qualcun altro, ma li ha cresciuti personalmente. “Mi sono adoperata a capire come fare a non perderli di vista, che può sembrare un paradosso, come essere una madre autonoma, e ho scoperto che non c’è donna al mondo che non possa curare e crescere un figlio se lo ama profondamente”.

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