Nel silenzio della notte di Betlemme si compie il grande mistero del Natale. «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Luca 2, 11), così aveva detto l’angelo, rivolgendosi ai pastori che facevano la guardia al loro gregge. Meravigliati e incuriositi, presero dunque la decisione, dicendo: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere». Ma ciò che si presentò a loro fu di una semplicità sconvolgente: «Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Luca 2, 15.16).
Otto secoli fa, san Francesco d’Assisi, con semplicità, dava vita alla prima rappresentazione del presepe, a Greccio, richiamando in tal modo i suoi contemporanei ad accostarsi al mistero con quella concretezza disarmante che rende vana la potenza dei potenti e la presunta sapienza dei dotti.
Ma la voce degli angeli continua a risuonare anche oggi per noi. Nella fede siamo chiamati a fare memoria di quell’evento, riconoscendo in quel piccolo bambino appena nato lo stesso Figlio di Dio, che si è fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Colui che è «la via, la verità e la vita» (Giovanni 14, 6), il liberatore dal male profondo dell’uomo, che è il peccato; Colui che ci chiama a diventare suoi discepoli e a percorrere un cammino di luce e di conversione; Colui che non si limita a stare accanto all’uomo, ma vuole entrare nella nostra storia, assumere la nostra umanità, condividere il nostro cammino. La raffigurazione della Natività ci richiama alla concretezza di quell’evento. Gesù, appena nato, viene posto in una mangiatoia. Gli angeli stessi indicano ai pastori tutto questo come segno distintivo del loro messaggio. I pastori, a loro volta, ne faranno esperienza trovando il bambino proprio in quella condizione e tale esperienza diventerà, anche attraverso di loro, motivo di nuovo annuncio: «E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro» (Luca 2,17).
Quest’invito è dunque più che mai attuale. Anche noi oggi siamo interpellati sulla necessità di ritrovare il senso più vero della realtà e la concretezza della vita. Ed è proprio in questa luce nuova che risplende a Betlemme, accolta nella fede e vissuta nella carità, che si può aprire un orizzonte autentico di speranza. Un orizzonte che ci permetta di vivere fattivamente il canto degli angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Luca 2, 14). Accogliamo, dunque, il «Principe della pace» (Isaia 9, 5) e lasciamoci trasformare in “artigiani di pace”.
Ricordiamo quanto Papa Francesco ha scritto nell’Enciclica Fratelli tutti: «C’è una “architettura” della pace, nella quale intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria competenza, però c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti». I nostri pensieri, le nostre parole, le nostre opere risanate dalla sua grazia, illuminate dalla sua verità e accolte nella profonda conversione del nostro cuore ci trasformino in uomini e donne capaci di relazioni nuove, nella concretezza delle nostre giornate e nei luoghi dove la provvidenza ci ha posto, nell’incontro con le persone che incroceremo sul nostro cammino. Di fronte al presepe non dimentichiamo tanti nostri fratelli e sorelle che soffrono a causa della povertà e delle guerre diffuse nel mondo. La nostra preghiera sia perseverante, la nostra carità significativa e concreta, la nostra speranza fondata dalla certezza che il Signore Gesù è con noi fino alla fine dei secoli.
A tutti un santo e sereno Natale ed una particolare benedizione del Signore.
Luigi Ernesto Palletti, vescovo