Sabato 25 novembre 2023 ricorre la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Si tratta di una ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1999 per sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza della non violenza contro le donne.
A pochi giorni da questa ricorrenza, le cronache nazionali registrano un episodio che ha tenuto col fiato sospeso tutta Italia per una settimana, e si è concluso tragicamente. Due ragazzi ventiduenni, Giulia e Filippo, scompaiono; sono ex fidanzati ma, dicono i testimoni, ancora amici, compagni di università. Lei è a pochi giorni dalla laurea, sta per vivere uno dei momenti più belli della sua vita. Lui è rimasto un po' indietro negli studi, niente di grave, gli mancano alcuni esami.
Ma forse, dentro di sé, non riesce ad accettare il successo di Giulia, il fatto che lei possa laurearsi prima di lui e che possa andare incontro ad una nuova vita senza di lui. Purtroppo, Giulia non arriverà mai a discutere la sua tesi.
Giulia è stata uccisa da un uomo che diceva di amarla. Dopo averla uccisa, ha abbandonato Giulia in un canalone, senza rispetto neppure del suo corpo.
E ancora una volta, le testimonianze ci parlano di un “bravo ragazzo”, un ragazzo innamorato di Giulia. Un po' in crisi per la fine di una relazione amorosa, d’accordo, ma da qui a massacrare una persona…. E invece lo ha fatto.
Un’escalation, quella dei femminicidi, che sembra non avere una fine. Le statistiche sono impietose.
Circa 150 casi all'anno in Italia (157 nel 2012, 179 nel 2013, 152 nel 2014, 141 nel 2015, 145 nel 2016), un totale di circa 600 omicidi negli ultimi quattro anni. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna. (Dati Istat)
Più della metà delle donne uccise quest’anno sono state massacrate da mariti, fidanzati, compagni ed ex per le “solite” inaccettabili ragioni: gelosia, possesso, incapacità di accettare la separazione o le libere scelte delle partner, vendette, dimostrazione di potere, ritorsione.
Il fenomeno è trasversale, colpisce uomini e donne di qualsiasi età e ceto sociale. Ed, anzi, l’età si sta abbassando.
Questi uomini dicono di amare le loro donne. Ma l’amore è tutt’altro; è soprattutto rispetto e libertà, significa anche saper accettare e rispettare i NO.
Cosa sta succedendo nella nostra società? Molti uomini non sanno più amare, scambiano l’amore col possesso, non sono in grado di reagire e si sentono persi di fronte ad un NO. Ma soprattutto, scatta la violenza, assurda, incontrollata.
E allora dobbiamo farci delle domande. Dobbiamo insegnare agli uomini che la violenza non è mai una soluzione, che l’amore non è possesso, non è ossessione di controllo. E alle donne a capire e non sottovalutare i “segnali” che questi uomini lanciano. Spesso sono possessivi, ossessivi, gelosi oltre ogni limite, tendono ad isolare la donna da famiglia ed amici, la vogliono solo per sé, la controllano, la ricattano emotivamente con frasi del tipo “se mi lasci mi uccido”, chiedono insistentemente un ultimo appuntamento chiarificatore che spesso si trasforma in trappola.
Non possiamo più fare finta di niente, dobbiamo mantenere alta l’attenzione per modificare normative, programmi educativi e sociali.
Ma quali sono le forze da mettere in campo? Legislatori, psicologi, psichiatri, famiglie, educatori …
Probabilmente tutti, ognuno deve fare la sua parte per cambiare una società che per molti aspetti sta involvendo. Almeno a lungo termine, la strada da percorrere è quella di un cambiamento di tipo culturale.
Persone che hanno tendenze alla violenza vanno individuate, fermate e seguite, non devono più essere libere di agire come sta succedendo.
Chiediamo alle donne spezzine impegnate nella politica e nel sociale di darci non solo le loro opinioni sulla recente vicenda di Giulia e Filippo e più in generale sui femminicidi, ma anche le loro idee in merito a quanto è possibile fare per combattere questo fenomeno.
Tutto le proposte ricevute verranno raccolte dalla Redazione del nostro giornale ed inviate ai parlamentari spezzini, per dare un contributo all’avvio di un percorso legislativo (e non solo) che permetta di arginare questo fenomeno che ha già rovinato la vita di molte donne e di molte famiglie.
Articolo in aggiornamento con le dichiarazioni ricevute, inserite in ordine di arrivo.
Annalisa Coviello (Giornalista): Sono molto pessimista. Non credo che serva un inasprimento della legge quanto piuttosto cambiare la testa di certi uomini...il che è impossibile. Forse, ma dico forse, servirebbe più educazione al rispetto di genere ma questa faccenda di Giulia è esemplificativa. Lui non sopportava non solo che lo avesse lasciato ma anche che lei fosse più brava di lui. Ed è questo oggi, secondo me, il problema. Uomini, ragazzi che non sopportano...fino alla morte... che la propria compagna sia “più” di loro. E cosa possiamo fare se non piangere altre morti?
Federica Giorgi (Cinque Stelle): La battaglia contro il maschilismo possessivo e la violenza esercitata sulle donne comincia dall'educazione nelle scuole dei più giovani al rispetto dell'altro ed a coltivare relazioni affettive sane. Il controllo ed il possesso dell'altro devono far riflettere e mettere in guardia da ambedue le parti e chiedere aiuto. Penso che in un'ottica di prevenzione della piaga sociale della violenza maschile sulle donne occorra focalizzare maggiormente l'attenzione anche sull'uomo violento affinché prenda consapevolezza dei gesti violenti e delle sue criticità anche psicologiche in quanto non è sufficiente la mera rieducazione ed il percorso di recupero del maltrattante ex post ovvero dopo la condanna penale per reati violenti.
Olivia Canzio (Assessore Comune di Levanto): Una prima disamina è politica. La scuola deve trattare temi come educazione sessuale e sentimentale, insieme. E questo è un input che solamente chi governa può dare. Il contesto sociale in cui viviamo è estremamente complesso: le famiglie dovrebbero attenzionare maggiormente l'aspetto emotivo dei figli e non quello 'competitivo', abituare i figli ad affrontare sin da subito responsabilità e difficoltà è essenziale. Noto invece sempre di più che i genitori tendono a proteggere i figli dalle difficoltà, che sono invece indispensabili alla maturazione e alla crescita. Comprendo che viviamo in una società sempre più individualista, ma chi è genitore - come chi insegna - ha l'impegno di crescere persone responsabili e autonome.
Renata Angelinelli (Partito Democratico): Ne abbiamo parlato molto tra noi donne e mi sono convinta sempre più che la parola chiave sia "Educare". Occorre educare gli uomini al rispetto e ad una corretta affettività. Che sia obbligatorio nelle scuole! Educare anche le donne a comprendere le varie forme di violenza che subiscono e ad opporsi in modo netto. Dovrebbe essere una mission anche per la stampa e l'informazione, ma spesso vengono lanciati messaggi sbagliati.
Anna Mori (Giornalista): Credo che sia fondamentale affrontare già a partire dai banchi di scuola l’argomento della parità di genere, toccando temi quali l’empatia, il riconoscimento e il rispetto dell’altro e delle proprie aspirazioni, l’intelligenza emotiva, superando l’individualismo che spesso caratterizza questa società, in cui l’essere connessi al web spesso detta i tempi. I giovani devono riscoprire la propria emotività ed empatia, imparando a capire che questo aspetto più profondo di loro è una ricchezza, non una debolezza. Si parla di parità di genere, ma non sempre questo concetto è stato completamente metabolizzato. Una donna indipendente, che studia e lavora, non deve essere considerata una minaccia, ma una risorsa e un arricchimento per la comunità. Una donna indipendente che lavora merita rispetto e riconoscimento per quanto fa.
Maria Grazia Frijia (Vicesindaco Comune della Spezia): È accaduto ciò che fino all’ultimo ognuno di noi ha sperato non accadesse. Il Governo sta già lavorando ad una serie di iniziative: la prima riguarda la conclusione dell’iter di approvazione al senato del ddl antiviolenza approvato all’unanimità alla Camera e che rappresenta un segnale importantissimo. Il disegno di legge prevede un pacchetto' di misure il cui filo conduttore è la prevenzione "per interrompere il ciclo della violenza" e per "agire tempestivamente e efficacemente". Ma ancora il ddl prevede il rafforzamento delle misure cautelari quali ad esempio il braccialetto elettronico, il distanziamento fissato a 500 metri e non solo dall'abitazione della vittima ma anche nei luoghi che abitualmente frequenta, l'ammonimento e previsto l'arresto in flagranza differita con la produzione di video e foto e anche l’inasprimento delle pene. Questo provvedimento, messo in campo dal ministro Roccella, sarà affiancato a breve da iniziative del ministro dell’istruzione Valditara per educare nelle scuole gli studenti contro la violenza sulle donne e la cultura maschilista. La proposta sarà presentata a breve e operativa nei prossimi giorni. Inoltre con il comitato tecnico-scientifico dell’Osservatorio Antiviolenza, che ha sede ed opera presso il Ministero delle Pari Opportunità, il dicastero guidato dal Ministro Roccella, sta lavorando ad una proposta per la formazione a tutti i livelli. Abbiamo già inserito nelle linee guida la cultura del rispetto e dell'affettività e ribadiamo che va insegnata a scuola. Bisogna demolire una cultura retrograda che ancora persiste e spiegare bene ai giovani che il possesso e l'amore sono due cose diverse. Dopo i casi degli stupri di Palermo e Caivano alcune dichiarazioni del ministro Valditara andavano già in questo senso, siamo tutti concordi che non ci possa essere scontro, vista la frequenza di questi femminicidi. L'educazione civica è lo strumento con cui introdurre l'apprendimento di queste regole, si tratta di inserire questi contenuti nelle linee guida, come stiamo facendo, per poi poterli insegnare nelle scuole. Questa odiosa violenza contro le donne deve essere contrastata con un grande impegno comune. Il filo comune di tutti questi femminicidi è il senso del possesso e noi siamo pronti a fare qualsiasi cosa per fermare tutto ciò.
Manuela Gagliardi (Assessore Comune della Spezia): Giulia Cecchettin è la vittima numero 105 dall’inizio dell’anno morta per mano di un uomo che diceva di amarla. E il numero di donne uccise nel 2023 rispetto all’anno precedente è purtroppo aumentato. Da donna impegnata in politica e anche da avvocato, non posso non dirmi fortemente preoccupata: oltre al grande dolore per una vita spezzata, proviamo un senso di impotenza, come se tutto quanto fatto fino a quel momento si azzerasse, non fosse servito a niente. Non dobbiamo farci sopraffare dallo scoramento, dobbiamo agire e cercare di sradicare quei germogli di violenza prima che abbiano l’occasione di agire. Per farlo non si può che educare, parlare di affettività a tutti i livelli, dalla scuola per l’infanzia fino all’università. È giunto però il momento di parlare anche di cultura del rispetto verso le donne, della loro libertà, in famiglia e sul luogo di lavoro, a trecentosessanta gradi: il rispetto è una frequenza che passa attraverso il linguaggio, l’atteggiamento, la pari dignità professionale e trattamento economico, nella consapevolezza delle differenze che ancora sussistono nell’impegno della cura familiare, che ancora grava in modo sbilanciato sulle spalle delle donne. Promuovere la cultura del rispetto della donna significa coinvolgere tutti e tutte, costruendo una solidarietà necessariamente trasversale. Amare non è possedere ma desiderare il bene dell’altro nel rispetto della sua libertà, accogliere e proteggere. Per questo, a mio giudizio, non è utile intervenire in modo esclusivo sulle condanne e sul post violenza ma bisogna dare a tutti gli strumenti per non arrivare a quei gesti irrimediabili. Il Parlamento già tanto ha fatto con il “codice rosso” e tutte le altre norme che sono state introdotte a tutela delle donne ma ora credo sia giunto il momento di anticipare quelle condotte, di educare ad una cultura del rispetto della donna e di un’educazione sentimentale dell’amare perché chi ama non uccide.
Elisabetta Barbana (Cpo Uil Liguria): Troppi stereotipi e pregiudizi di genere condizionano la nostra vita, considerando la donna inferiore all'uomo, con tutto ciò che ne consegue nella formazione, nel lavoro (sia a livello retributivo che poi pensionistico) a livello sociale e politico. Le leggi e i protocolli di Intesa per eliminare tali discriminazioni ci sono. Sicuramente l'educazione all'affettività per se stessi e al rispetto dei generi andrebbe insegnata fin da piccoli. Un intervento forte potrebbe essere messo in atto nelle scuole e non solo quelle superiori come già succede. Già dalla scuola dell' infanzia l'attività didattica ed educativa, attraverso la formazione degli insegnanti tutti, dovrebbe sviluppare un processo di formazione che permetta ai futuri cittadini di mettere in atto quel cambiamento capace di affermare quel principio di "uguaglianza e pari dignità fra i sessi" riconosciuto e ribadito da molti anni ma evidentemente ancora molto poco interiorizzato e agito.
Francesca Sacconi (Consigliere Comunale Porto Venere): Penso che, nonostante i passi avanti fatti per il sostegno alle donne, ancora troppo spesso non si sentano sufficientemente tutelate e questa paura credo sia la più grande, soprattutto quando sono madri. Perché il pensiero di poter perdere i propri figli è la paura più grande, spesso vengono messe anche loro stesse in discussione come genitore solo per il fatto che continuano a stare con un violento. Quindi meno frasi ad effetto, e più fatti concreti per difendere in tutte le proprie sfaccettature la donna, soprattutto da quando denuncia credo che colui sé fosse padre dei suoi figli o di altri fuori dal loro rapporto dovrebbe immediatamente perdere la patria potestà senza sé e senza ma. Ecco io farei questa novità perché credo che gli uomini di quel genere siano dei vigliacchi ma allo stesso tempo si sentono padroni su tutti e sapere che anche legalmente non avranno più nessun potere sui figli credo che li stabilizzerebbe e non poco. Perché nel loro caso aver fatto dei figli non e stato un gesto di immensa fusione ma solo per far continuare una parte di sé stessi nel mondo. Questo lo posso affermare perché ho parlato diverse volte con persone che hanno vissuto o vivono queste dinamiche.
Martina Giannetti (Consigliera Comunale PD La Spezia): Penso che le azioni da intraprendere siano molte, alcune nel breve termine e altre iniziando oggi un lavoro che dovrà proseguire negli anni e per le prossime generazioni. Nel breve termine: approvazione di una legge che introduca l’obbligo nelle scuole di prevedere l’educazione all'affettività e al rispetto delle differenze; maggiori investimenti sulla rete dei Centri antiviolenza e delle case rifugio e sulla cultura e l'educazione; risorse per il reddito di libertà che può consentire alle donne di rendersi autonome da uomini maltrattanti; investimento sulla formazione degli operatori di giustizia e più in generale nei luoghi di lavoro, per poter prevenire e riconoscere situazioni di maltrattamenti ed interagire con le vittime in modo costruttivo. Nel lungo termine invece ritengo che si debba assolutamente rifiutare l’assegnazione alla donna di un ruolo nella società in quanto moglie o madre. Come? Non con la retorica, ma con azioni concrete che vadano a colmare il gender pay gap, ad istituire una maggior parità nell’ambito lavorativo e anche politiche che liberino la donna dal ruolo di cura redistribuendolo su entrambi i genitori o retribuendolo. La libertà delle donne passa anche dalla loro indipendenza economica. Maggiori tutele sul lavoro, maggiori investimenti sui servizi educativi e la previsione di una retribuzione per chi è caregiver (non soltanto quindi con i figli, ma anche con i genitori, anche qualora siano disabili).
Marzia Ilari (CGIL La Spezia): In primo luogo ritengo che i programmi didattici di tutte le scuole di ogni ordine e grado debbano prevedere momenti educativi che promuovano la cultura del rispetto per sé e per l’altro (autostima e rispetto del genere) che non siano affidati a progetti (dunque facoltativi o temporanei) ma inseriti stabilmente. Ritengo che di conseguenza gli organici delle scuole debbano prevedere l’assunzione di figure professionali adatte a questo scopo come ad esempio psicologi che siano in grado di intercettare sin dalla giovane età comportamenti deviati o devianti. La cultura, l’educazione, il recupero rappresentano l’unica strada per evitare violenza, sottomissione, discriminazione. Credo inoltre che il Governo dovrebbe finanziare stabilmente e maggiormente tutte le realtà che oggi si occupano di contrasto alla violenza. Si devono finanziare maggiormente i luoghi protetti, gli sportelli di ascolto, i progetti di contrasto alla violenza nei luoghi di lavoro., stimolandone la proliferazione. Si deve garantire, attraverso una legge più puntuale, la massima protezione per chi denuncia casi di aggressione, violenza, stalking. La solitudine e la paura sono il sottile filo rosso sangue che accomuna fatti come quello che ha portato all’uccisione di Giulia.
Viviana Cattani (Capogruppo PD Comune Spezia): Proprio ieri eravamo impegnate in una iniziativa contro la violenza di genere con sindacati e associazioni e siamo state raggiunte dalla notizia del ritrovamento del corpo di Giulia. Ennesimo femminicidio, ennesima violenza. Non è possibile continuare così. Serve fare rete, serve lavorare tutti insieme , in maniera trasversale senza preconcetti, partendo dalle scuole dove dovrebbe formarsi il nostro futuro per educare alla affettività e al rispetto. Aumentare le risorse per i centri antiviolenza, aiutare le donne ad essere indipendenti economicamente per permettere di costruirsi un futuro e sottrarsi ad abusi e violenze.
Daniela Carli (Assessore Comune della Spezia): Il quadro generale è preoccupante, i dati parlano chiaro, nell’arco della propria vita, una donna su tre ha subito abusi e violenza, fisica o psicologica. È urgente un impegno di tutta la comunità con l’obiettivo di tutelare i diritti di donne e di assicurare giustizia alle vittime di abusi e violenze. Il femminicidio è il gesto ultimo della violenza sulle donne, non dobbiamo sottovalutare ciò che accade prima: minacce, persecuzioni, maltrattamenti, stupri. Le donne, purtroppo, non sempre denunciano, sono convinte nella maggior parte dei casi che l’uomo cambierà, che le ama, in altri perché sono ricattate dalla presenza dei figli, perché non sono autonome economicamente, o perché si sentono sole e non sostenute. Dobbiamo far toccare con mano alle donne che non sono sole, che la società e le istituzioni le sostengono, che credono alle loro denunce ed è per questo che abbiamo intensificato a livello locale una campagna comunicativa denominata “Spezza il Silenzio” con l’obiettivo non solo di far parlare dell’argomento ma di dare informazioni utili per far conoscere alle donne gli strumenti di assistenza ai quali possono rivolgersi: dai Centri Antiviolenza e dalle Case Rifugio al numero verde 1522. Il mio Assessorato è da sempre in prima linea per combattere la violenza sulle donne e la terribile piaga del femminicidio per quanto di competenza, c’è molto lavoro da fare e intendiamo portarlo avanti a 360 gradi, incentrando il nostro impegno su tre pilastri d’azione: informazione, educazione e sostegno. Prossimamente partirà il progetto “Palla alle Donne” in collaborazione con lo Spezia calcio femminile, la Questura della Spezia e il Comune della Spezia da me rappresentato per sensibilizzare le nuove generazioni sul tema della violenza. Sono certa che l’impegno di tutti sarà massimo, farsi aiutare è il primo gesto per uscire dal silenzio.
Francesca Tarantini (Responsabile coordinamento donne CGIL La Spezia): A nome del coordinamento donne Cgil, alla vigilia della giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulla donna, esprimo vicinanza alle famiglie di tutte le vittime di femminicidio. In una società dove i femminicidi non accennano a diminuire, l’unica strada da percorrere è quello di investire su un nuovo modello sociale e culturale. Il nostro impegno nei luoghi di lavoro è e sarà sempre quello di promuovere la parità di genere e il rispetto per ogni individuo. Il progetto dello “spazio di ascolto contro le molestie e le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro“, che inaugureremo, rientra nello spirito più ampio di miglioramento culturale dei luoghi di lavoro. Ovviamente non si può e non si deve esaurire con questo ma deve comprendere iniziative a tutto tondo nella vita di ogni giorno.
Antonella Franciosi (Segretario Provinciale Italia Viva): Quest’ultimo episodio mi lascia senza speranza e piena di rabbia perché coinvolge due persone giovanissime. Aggiungo in nessuna di queste vicende di femminicidio o persecuzione, c’entra qualcosa l’amore, ma c’entrano il rapporto tra i sessi e il rapporto tra chi dispone di forza fisica e chi non ne ha. E deve far riflettere che un ragazzo nato vent’anni dopo l’abolizione del delitto d’onore e che per tutto il suo corso di studi ha visto celebrare la giornata contro la violenza sulle donne, ancora sia fermo allo sfogo delle proprie frustrazioni su una ragazza. In quale Paese ha vissuto e con quali riferimenti è cresciuto nella sua famiglia, nella sua scuola e nella sua comunità? E fa parte del problema che si voglia avere l’opinione delle donne e non di tutta lo società politica; siccome esiste senz’altro uno specifico di genere, maschile, nel rapporto con la violenza e con la sopraffazione e nell’incapacità di accettare che le donne - una singola specifica e tutte - possono essere libere, affermate e felici anche senza di loro, e dato quelli che usano violenza contro le donne sono gli uomini. Quindi sarebbe una buona idea chiedere anche alla società degli uomini come pensano si possano crescere ed educare gli uomini a risolvere le loro insoddisfazioni senza usare violenza sulle loro compagne. Ma la domanda va rivolta anche alla più grande agenzia educativa cioè alla scuola. Cosa funziona e cosa non funziona nelle campagne educative che da anni le vengono delegate? Sono utili o sono solo retorica che non ci porta da nessuna parte? Di quali strumenti ha bisogno la scuola, come possiamo aiutare gli insegnanti? E di quali strumenti è necessario dotare le famiglie? Stesse domande che andrebbero rivolte alle forze di polizia. E intanto che avviamo questa campagna di ascolto, occorre insegnare alle ragazze come difendersi fisicamente, abbandonando la retorica della donna crocerossina e dell’ultimo appuntamento. Imparare, magari a scuola, a difendersi fisicamente dalla violenza fisica, intanto che gli uomini, per carità non tutti, solo quelli che ne hanno bisogno, quelli che poi ci ammazzano, imparano a comportarsi civilmente. Di sicuro ci mettiamo meno noi a imparare le tecniche di autodifesa, che loro a apprendere la convivenza sociale e l’educazione sentimentale.
Cinzia Forma (Educatrice): Giulia è figlia di tutti noi, sorella, nipote. Le ragazze intelligenti, brillanti, determinate studiano per il loro futuro e la loro vita, forti nella loro volontà di essere libere, indipendenti, padrone di loro stesse. Quando si innamorano ci credono, sono pronte a lottare e a sacrificarsi per il sogno di una vita condivisa, ma a volte, sulla loro strada, c'è un maschio immaturo, spesso viziato che si sente padrone del mondo. La maturità per lei arriva prima, lui ha bisogno di essere accudito e di essere riconosciuto come "il migliore" della coppia. La scuola lavora tanto sul rispetto e la parità e la società deve garantire spazi e risorse perché i giovani possano confrontarsi, lavorare insieme (musica, letteratura, arte) e crescere in armonia e sviluppo alla pari di personalità che trovino fra il maschile ed il femminile il punto di incontro nel rispetto reciproco dei propri pregi e dei propri difetti vissuti con serenità.
Amelia Ferrara (Uil Liguria): Purtroppo anche oggi piangiamo una giovane vita interrotta violentemente senza alcuna giustificazione. Il fenomeno è in preoccupante aumento, è necessario ed urgente interrogarsi sulle cause sociali e culturali che lo innescano. E' importante un intervento di formazione sulle nuove generazioni che punti sul rispetto ed il riconoscimento del valore di ogni individuo, è fondamentale per eradicare certe convinzioni antiche che vedono la donna sempre un passo indietro e che fanno scattare la cieca violenza quando questi insani equilibri vengono destabilizzati dal desiderio e dalla volontà delle donne di recuperare quel passo. Prevenire questi dolorosi eventi deve rappresentare una priorità di tutte le parti sociali che devono mettere in campo ogni strumento possibile per proteggere le potenziali vittime e reprimere ed rieducare gli aggressori che devono essere segnalati alle prime avvisaglie di violenza sia essa fisica o psicologica.Non possiamo più stare in silenzio!
Mireille Duchamp (imprenditrice ConfCommercio): le mie proposte sono:
1) introduzione nelle ore di scuola di educazione sessuale e di genere, modulata dalla scuola Primaria fino agli Istituti Superiori. Eliminare tabù e non detti aiuterebbe molto. Avere la consapevolezza di essere tutti esseri umani dove solo il genere è diverso per necessità biologiche è importante.
2) corsi e incontri obbligatori anche sui posti di lavoro sia pubblici che privati per educare al rispetto fra i generi
3) cercare di bloccare siti e articoli violenti, film incentrati solo sull'esaltazione delle violenza
4 ) implementare la nascita di centri antiviolenza anche nelle forze dell'ordine.
Francesca Sturlese (Sindaco di Porto Venere): questa vicenda mi ha particolarmente scossa, l’11 novembre alla stessa ora in cui questa povera creatura è stata barbaramente uccisa mia figlia stava festeggiando il suo 18º compleanno abbracciata ad un ragazzo sorridente e gentile come appariva Filippo Turetta nelle foto con Giulia.
Pur non volendo giustificare nessuno, onestamente, penso ci sia molta differenza tra un marito/padre che in preda alla disperazione, perché privato della presenza quotidiana dei figli o per motivi economici, arrivi a compiere un gesto estremo, che non è comunque tollerabile, rispetto ad un ragazzo giovane, intelligente e nel pieno della sua vita che compie un gesto eccessivo ed atroce come quello compiuto ai danni di Giulia.
Dovremmo interrogarci tutti, soprattutto noi genitori. Questa vita frenetica ci sta allontanando dai nostri figli, ci rende meno attenti ed incisivi nell’educare ma anche nell’ascoltarli e nel comunicare con loro. Parlare con loro, confrontarci, evitare di fargli credere che si può sempre avere tutto ciò che si vuole ma anzi aiutarli ad affrontare le sconfitte e a superare rifiuti e difficoltà, deve essere la nostra priorità, ovviamente anche la scuola e le istituzioni devono fare il resto ma penso che il rispetto verso il prossimo, non solo a parole ma con i fatti, debba essere insegnato prima di tutto in famiglia.
Sicuramente l’emancipazione delle donne è ancora un problema per coloro che vivono o sono stati cresciuti seguendo un modello patriarcale, in questo ambito le istituzioni devono continuare a garantire i medesimi diritti, in ogni ambito, a uomini e donne. In ultimo, ma non per ultimo, bisogna prestare molta attenzione ed aiutare le giovani donne a saper distinguere le azioni che, a prima vista, possono essere confuse con attenzioni ma che spesso, invece, sono già campanelli di allarme, che possono sfociare in violenza. Sull’argomento ci sarebbe da star qui a parlarne per ore…
Stefania Pucciarelli (Senatrice): Credo che non ci siano provvedimenti che possano bloccare definitivamente questi crimini.L’omicidio di Giulia è avvenuto senza che vi fosse una denuncia di molestie o di stalking.Nei casi di femminicidio spesso ci troviamo di fronte a delle varianti ma,molto spesso l’omicidio accade dopo aver acconsentito all’ultimo appuntamento.Direi che forse dovremmo partire da lì,nel coinvolgere maggiormente le ragazze e le donne mettendole maggiormente in guardia su quello che può esserci dietro a questa richiesta.
Occorre poi sicuramente accelerare la presa in carico quando c’è una denuncia di stalking, e pene severe per chi maltratta. Ma dobbiamo lavorare sul prevenire, sensibilizzando le persone a non voltarsi dall’altra parte quando si assiste a fenomeni di violenza.
Gabriella Tartarini (Educatrice): L'ennesimo femminicidio ci obbliga a interrogarci perché sicuramente qualcosa non ha funzionato. Sicuramente non ha funzionato in famiglia, dove un modello maschile corretto non è stato trasmesso. Sicuramente non ha funzionato nella scuola, dove troppi divieti hanno sempre impedito, (non certo per volontà dei docenti ma semmai di certe mentalità genitoriali retrograde che alla parola "educazione sessuale" hanno crisi di nervi) un corretto approccio con l'altro e soprattutto con una educazione all'affettività che è stata sempre trascurata e sottovalutata. Qualcosa non ha funzionato nei modelli di questa società che continua a mandare messaggi contraddittori, con i corpi delle donne usati come mera merce promozionale o di scambio all'Interno di pubblicità subdole e maschiliste. Qualcosa non ha funzionato nei social che rimandano modelli di comportamento stereotipati quando non retrogradi e aggressivi. Qualcosa non ha funzionato nella giustizia che troppo spesso ha lasciato impuniti o quasi gli stalker, i violenti e gli assassini. Bisogna ripensare tutto, riflettere su tutto: sull'educazione familiare, sui programmi scolastici, sui modelli di riferimento del mondo dei giovani, sulle leggi. Se non si lavora sull'educazione fin dalla più tenera età, sui modelli di comportamento da offrire, senza contraddizioni e senza ipocrisie, non si arriverà mai da nessuna parte. Bisogna insegnare ai giovani maschi ad accettare e rispettare, non basta e non serve, anzi è sbagliato, insegnare soltanto alle femmine a proteggersi: è tutto qui l'errore di fondo (e uso volutamente i termini maschi e femmine....). Viviamo in una realtà in cui si insegna alle donne ad avere paura e a difendersi e non agli uomini a non offendere, violentare e uccidere. È assurdo, ma è così!
E quando ci troviamo di fronte all'ennesimo femminicidio vi prego , cari giornalisti, non parlate d'amore! Nessuno uccide per troppo amore: per amore si vive, ci si sacrifica, si fanno cose pazze e bellissime. Non si uccide. Quello non è amore, e non è nemmeno follia: troppo comodo liquidare così un comportamento violento e ben consapevole, lucido e determinato, volontà precisa di fare del male! Quello non è amore e non è nemmeno patologico possesso: quello è odio, cattiveria, desiderio di vendetta, invidia, istinto represso. Quello NON È AMORE!
Rita Mazzi (Sindaco di Follo): Io purtroppo una soluzione non ce l'ho. Di getto, riferendomi a questo caso particolare, mi viene da dire che il problema nasce all'interno delle famiglie: da padri che, col loro cattivo esempio, fanno credere ai figli maschi che un uomo non può essere meno bravo o inferiore alla sua donna.
Le madri sottomesse ai mariti /compagni, che tacciono, non si ribellano e subiscono. Dobbiamo noi donne imparare a riconoscere i segnali di un uomo debole magari non scambiando la debolezza per la gentilezza dei primi tempi .
Non separiamo più i maschietti dalle femminucce; sono uguali, devono crescere insieme, rispettarsi, accettare la diversità come normalità. Alla base di tutto deve esserci il rispetto, che si impara in famiglia, a scuola e poi dopo nella società lo si vive.
Oggi, invece, dobbiamo spingere le donne a denunciare dobbiamo proteggerle e arginare questo problema con leggi dure e severe, senza buonismo alcuno né comprensione.
Basta con la storia del bravo ragazzo dell'ottima famiglia; qualcosa che non andava in quella famiglia c'era non fosse altro che il non aver capito quel figlio.
Sara Strata (Confartigianato membro Consulta Provinciale della Spezia): Più che un inasprimento delle norme ritengo ci sia da affrontare il tema dal punto di vista formativo e culturale; abbiamo bisogno di insegnare ai bambini e ai ragazzi, lo dico da madre, un approccio corretto all'affettività e alla sessualità. Internet, i social, la televisione bombardano i ragazzi di contenuti dove i veri sentimenti ed i valori morali con i quali siamo cresciuti sono spariti e si vive solo la materialità, il sesso, il rapporto uomo/donna tutto basato sul machismo e la sottomissione. Basta, ritengo sia necessario insegnare ai ragazzi, innanzitutto in famiglia e poi a scuola, il rispetto, la reciprocità, la delicatezza, l'aiuto verso i più deboli, solo così potremmo fermare questa strage.
Gabriella Mignani (giornalista): In merito alla tragica vicenda di Giulia, penso che sia inutile inasprire le pene o cercare nuovi modi di controllare uomini potenzialmente violenti.
Chi aveva denunciato per stalking il giovanissimo omicida? Chi aveva il minimo sospetto che potesse diventare violento fino a quel punto ?
Forse, Giulia qualche sospetto l' aveva e si era confidata con un' amica. E allora non doveva andare all' appuntamento con lui ( quante donne ancora cadranno in questa trappola ? ) e doveva confidarsi di più in famiglia.
Ma questo è un commento col senno di poi, dettato dalla rabbia per questa ennesima vita spezzata. I genitori, oggi, non sempre conoscono i propri figli, e non c' è una rete sociale che li aiuti.
I rapporti tra le persone rimangono spesso formali o addirittura mediati dai social.
Ho scritto un libro sulla crisi della famiglia in Italia già nel 2013 ( " La Cittadella ", Memoranda, Massa ), ed oggi penso che la situazione si sia ulteriormente aggravata.
La scuola non può sostituirsi alla famiglia nell' educare all' affettività. Ma forse può aiutare i ragazzi al senso civico e di responsabilità nel sociale.
Paola Sisti (Sindaco di Santo Stefano di Magra): Occorre investire sul sistema educativo. Bisogna entrare nelle scuole fin dalla prima infanzia con professionisti esperti cge sappiano leggere tutti i segni di potenziali disagi psicologici dei ragazzi e anche degli adulti “educatori” che a volte non hanno gli strumenti per capire prima e affrontare poi comportamenti nocivi. Dobbiamo guardare e ascoltare i nostri ragazzi, dargli gli strumenti per affrontare paure o delusioni, insegnarli a domare la rabbia e gestire le frustrazioni. Su questi temi ci impegneremo come Amministrazione e come abbiamo già fatto, continueremo l’esperienza dello “sportello di ascolto” nelle nostre scuole, per i ragazzi, le loro famiglie e gli insegnati, gestito e curato da pedagogisti clinici esperti nel settore.
Marina Lombardi (Studebtessa e Antropologa)
La violenza sulle donne è una violenza culturale e strutturale a tutti gli effetti (quel tipo di violenza esercitata in modo indiretto prodotta dall'organizzazione sociale stessa, dalle sue profonde diseguaglianze), il prodotto di un sistema sociale connotato da valori, pratiche e abitudini ben specifiche.
È necessario che si inizi a spiegare che non si tratta di un caso isolato ma una problematica insita in un tipo di cultura ben precisa, che poggia le sue radici sulla struttura sociale e culturale patriarcale, parola che è necessario iniziare ad utilizzare senza riserve.
Mentre la legislatura italiana non cambia forma, mentre i governi non si adeguano alle necessità reali, mentre gli stipendi delle donne continuano ad essere inferiori a quelli degli uomini, mentre le donne continuano ad essere assunte solo sé i possesso di certi canoni e a sentirsi obbligate a fare figli e rispettare norme sociali, mentre gli uomini continuano il cat calling per le strade, le donne continuano ad essere uccise, giorno dopo giorno. Secondo il rapporto del dipartimento di pubblica sicurezza dal 1° gennaio al 19 novembre 2023 sono 106 le donne uccise dagli uomini, di cui 87 in ambito familiare-affettivo, ma questo non è ancora servito.
La violenza si combatte a livello intersezionale, con una serie di strumenti educativi, formativi e rieducativi che vanno a costituire e creare delle nuove abitudini di pensiero, stabilire nuovi valori culturali e norme sociali che nel tempo verranno normalizzate. Questo può avvenire solo con la totale decostruzione e defamiliarizzazione da un apparato culturale costituito su valori e fondamenti introiettati come assoluta normalità. Il cambiamento legislativo deve essere finanziato, pensato e progettato da persone competenti ma deve soprattutto supportare il cambiamento culturale di cui abbiamo bisogno.