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All'ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio il Premio Narducci In evidenza

Il giornalista ha parlato a tutto campo sui temi della pace e della vita. Domani la chiusura della Festa di Avvenire.

E’ quasi un fiume in piena Marco Tarquinio mentre, incalzato dalle domande di Lucia Bellaspiga, racconta i lunghi anni trascorsi alla guida di Avvenire e, in quel contesto, racconta la pace, la vita, la solidarietà. A pensarci bene, è proprio questo il significato autentico di un premio come quello intitolato ad “Angelo Narducci”, che monsignor Franco Ricciardi volle istituire a Lerici nel 1984, nell’ambito della festa annuale del quotidiano cattolico, subito dopo la prematura scomparsa di un direttore “storico” come Narducci: premiare un giornalista (o uno scrittore) allo scopo di consentire in filigrana, attraverso la sua esperienza, una vera “lettura cristiana” dei fatti del nostro tempo e, attraverso i fatti, delle grandi tematiche che coinvolgono uomini e popoli.

Da questo punto di vista l’esperienza di Tarquinio, come ha ben ricordato Bellaspiga all’inizio, è davvero unica. Approdato ad Avvenire negli anni Novanta, ne fu, con progressione veloce, capo redattore, vice direttore e infine, per ben quattordici anni, direttore. Anni complessi, attraversati da tematiche importanti, come quelle della vita e della morte sino ai cambiamenti climatici e alla guerra, che spesso hanno visto cultura e giornalismo “main stream”, come si suol dire, utilizzarle per mettere sotto accusa il pensiero cattolico quasi fosse retrogrado e inadeguato ai tempi. Dal caso di Eluana Englaro sino alla posizione nei confronti non solo della guerra in Ucraina ma di tutte le guerre, gli argomenti in questione sono stati tanti, volti a tentare di mettere all’angolo la stampa cattolica. Ed è invece accaduto il contrario.

Nell’ultimo decennio, ha ricordato Tarquinio, Avvenire si è collocato stabilmente tra i cinque quotidiani più diffusi in Italia, talora anche tra i primi tre, imponendo all’attenzione di tutti le proprie cronache, i commenti, gli editoriali. Un cammino lento ma sicuro, come fosse - ha ribadito Tarquinio - “un editoriale lungo quattordici anni”. Che ora prosegue, di fronte in particolare alla sfida delle nuove tecnologie, con la guida di un nuovo direttore, Marco Girardo, e di una squadra di giornalisti e di tecnici quanto mai rodata. Grazie anche al sostegno importante dei lettori e a quello delle diocesi e delle parrocchie, come nel caso della festa di Lerici, la più longeva - con i suoi quarantasette anni di storia - tra le tante che si tengono in Italia.

Al termine dell’intervista, il direttore “di ieri” non ha quest’anno consegnato lui il premio, come tante volte avvenuto in passato, ma lo ha ricevuto dalle mani del vescovo Luigi Ernesto Palletti, tra gli applausi del pubblico. Si tratta, come è noto, di una splendida effigie della Madonna di Maralunga, patrona di Lerici e della festa. Sul palco c’erano il direttore generale del giornale, Alessandro Belloli, presente a Lerici con i suoi collaboratori, e il parroco don Federico Paganini, che ha letto la motivazione.

Ancora una volta dunque la consegna del premio “Narducci” ha rappresentato, idealmente al centro della settimana, il momento culminante della festa lericina, proprio anche per la stretta connessione di cui si è detto tra il ruolo del quotidiano cattolico e l’interazione con i “segni dei tempi”. Si può davvero dire che il futuro della cultura e del giornalismo cattolico passa anche attraverso eventi di questo genere.

Ora, dopo otto giorni intensi, la festa volge al suo termine. Stasera alle 18.30 don Paganini celebrerà la Messa conclusiva, mentre domani la compagnia teatrale dialettale “Marilontani” metterà in scena alle 21.15 uno spettacolo che Giuli Rolla, da sempre “colonna” della festa e della parrocchia, ha liberamente tratto dal Decameron di Boccaccio. Lo spettacolo, cui tutti sono invitati, si svolgerà allo stabilimento militare di Maralunga, ovvero, si potrebbe dire nel luogo “dove tutto è iniziato”: in quella piccola baia, infatti, approdò secoli fa in modo misterioso, secondo la tradizione, proprio quel quadro della Vergine che per i lericini (ma da quarantasette anni anche per Avvenire) è segno di protezione e di speranza..

 

(Egidio Banti)

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