Delle preziose reliquie ancora ben conservate e collocate in reliquiari del XVII secolo riccamente adornati, sono custodite anche le autentiche vescovili.
Venerdì 26 maggio 2023 la chiesa di san Francesco dei Frati Minori Cappuccini di Monterosso alle Cinque Terre ha celebrato solennemente il quattrocentesimo anniversario della dedicazione. Era infatti il 26 maggio 1623 quanto Mons. Giovan Battista Salvago, allora vescovo di Luni Sarzana, aveva dedicato la chiesa dei cappuccini. La celebrazione si è aperta con i vespri solenni cui è seguita la santa messa presieduta da Mons. Luigi Ernesto Palletti, Vescovo della Spezia Sarzana Brugnato, concelebrata da numerosi sacerdoti in particolare frati cappuccini fra i quali il neo eletto fra Luca Simoncini ministro della Provincia di Genova e fra Renato Brenz Verca attuale rettore del convento. Erano presenti il sindaco di Monterosso Emanuele Moggia, le autorità civili, le Terziarie francescane e la popolazione di Monterosso.
La celebrazione è stata arricchita da un momento di grande importanza non solo devozionale, ma anche artistica: lo svelamento delle reliquie dei martiri di epoca romana colloca sull’altare maggiore solo oggi svelate dopo il loro ritrovamento. Esse infatti sono celate dietro i due dipinti del XVII secolo posti ai lati della pala centrale che rappresentano santa Chiara e santa Rosa da Viterbo del pittore genovese Giuseppe Palmieri. Queste ultime in realtà svolgono anche la funzione di chiudere i due reliquiari settecenteschi costituiti da due casse di legno finemente intagliate che intorno alle ossa vedono decorazioni regali e floreali in metallo, oltre ai cartigli con i nomi dei martiri. Un altare ligneo secondo lo stile tipico dei Cappuccini, che contiene preziose reliquie in una collocazione decisamente scenografica. Frutto di un prezioso ritrovamento di cui nessuno conosceva l’esistenza e avvenuto casualmente grazie all’occhio osservatore del restauratore Andrea Toniutti che pochi mesi fa aveva notato la presenza di una piccola serratura su entrambe le tele, scrigno dei reliquiari. Lo stupore e l’emozione di padre Renato sono stati evidenti. L’architetto Alberto Cipelli, promotore della valorizzazione culturale del convento, ha incaricato lo storico e amico Franco Bonatti di studiare queste reliquie, permettendo di ritrovare nella biblioteca, anche l’autentica settecentesca del Vescovo che narra nel dettaglio la composizione delle reliquiari e il loro posizionamento sull’altare. Una grande scoperta che rivela un ulteriore tassello della storia religiosa e artistica di questa chiesa.
La dedicazione della chiesa e la storia delle reliquie
Il 26 maggio 1623 il Vescovo diocesano di Luni Sarzana Mons. Giovanni Battista Salvago, dedicava con solenne rito a San Francesco la chiesa del convento dei Cappuccini di Monterosso.
Lo stesso prelato il 30 gennaio 1618, aveva autorizzato con proprio decreto l’edificazione del convento dei Padri Cappuccini e poté essere costruito in breve tempo grazie alla generosità della nobile famiglia genovese degli Squarciafico. Nel 1623 la comunità religiosa richiese al Vescovo diocesano di compiere il complesso ed articolato rito di dedicazione per il quale utilizzò per la prima volta il Pontificale romano riformato dal pontefice Clemente VIII nel 1595.
Il rito prevedeva che la sera precedente, cioè il 25 maggio 1623, il Vescovo preparasse le reliquie da collocarsi il giorno successivo nell’altare che doveva essere consacrato. Il rito iniziava con la reposizione delle reliquie in un’urna nell’altare cui erano aggiunti tre grani d’incenso ed una pergamena in cui erano ricordati i nomi dei santi martiri. Il Vescovo Salvago pose nell’urna le reliquie dei santi martiri Vincenzo e Mauro che poi nel corso della storia e nella sostituzione dell’altarea andarono disperse. Terminata la ricognizione delle reliquie poste in un luogo idoneo, il Vescovo presiedeva il canto primi vespri. All’alba della mattina seguente difronte alle reliquie veniva celebrata una liturgia vigilare che consisteva nel canto del mattutino e delle lodi cui seguiva il rito della dedicazione durante il quale le reliquie erano portate processionalmente dai sacerdoti difronte all’ingresso della chiesa quindi il Vescovo ungeva con il sacro crisma gli stipiti delle porte ed entrava nell’aula seguito dalla comunità conventuale e dai fedeli mentre venivano cantate le litanie dei santi. Giunto all’altare il Vescovo con il sacro crisma ungeva il luogo scavato nell’altare ove sarebbero state deposte le reliquie. Mentre la comunità religiosa cantava i Salmi, il Vescovo incensava le reliquie, le riponeva al centro dell’altare e le murava chiudendole con una piccola pietra. Recitata quindi un’orazione, ungeva con il crisma la pietra applicata; ripulito poi l’altare dalla calce, il Vescovo lo incensava e con il sacro crisma segnava i lati in forma di croce. Al canto dei Salmi, il prelato da due ampolle versava il sacro crisma e l’olio dei catecumeni su tutta la superficie dell’altare che poi veniva ripulito e ornato con tre tovaglie, la croce e sei candelieri. Terminato il rito il Vescovo teneva l’omelia cui seguiva la celebrazione della Santa Messa.
Il giorno seguente, 27 maggio 1623, sempre alla presenza di Mons. Salvago, altre reliquie di santi martiri furono poste sull’altare maggiore dai religiosi del convento e proprio queste sono l’oggetto del recente ritrovamento del 2023. Si tratta precisamente delle reliquie dei santi martiri Albina, Vittorino, Quintiliano e Palmazio che furono donate da padre cappuccino Felice da Belmonte al nobile genovese Giovanni Battista Squarciafico, fratello del cappuccino Francesco Maria, il quale aveva incaricato i propri congiunti di sostenere le spese per l’edificazione del convento di Monterosso. Le reliquie, chiuse in cinque scatole di legno, autenticate e sigillate da Mons. Domenico De’ Marini Arcivescovo di Genova, giunsero a Monterosso il 30 ottobre 1622.
Il 19 agosto 1697, su richiesta di padre Felice Maria da Monterosso, guardiano del convento, si compì la ricognizione e il trasferimento delle ossa dei martiri dalle cinque cassette poste sull’altare, dentro due ancone lignee appositamente costruite sopra le due porte di accesso al coro conventuale. Tale ricognizione, autorizzata dall’ordinario diocesano, fu eseguita dai sacerdoti monterossini, alla presenza di qualificati testimoni che giurarono che da oltre sessant’anni le reliquie dei martiri nel giorno della loro memoria liturgica erano esposte per tutta la giornata alla venerazione dei fedeli, mentre la comunità dei religiosi celebrava l’ufficio festivo. Parte del cranio e tre ossa lunghe e alcune ossa piccole, contenute in una ampolla di vetro, di San Palmazio insieme con - parte del cranio e tre ossa lunghe e alcune ossa piccole, contenute in una ampolla di vetro, di Sant’Albina - furono collocate nell’ancona lignea in cornu epistolae dell’altare maggiore (lato sinistro) della chiesa. Parte del cranio e tre ossa lunghe e alcune ossa piccole, contenute in una ampolla di vetro, di San Quintiliano - insieme con parte del cranio e tre ossa lunghe e alcune ossa piccole, contenute in una ampolla di vetro, di San Vittorino - furono collocate in un’ancona lignea in cornu evangelii dell’altare maggiore (lato destro) della chiesa conventuale. Nei primi decenni del secolo XVIII furono collocate due tele in pendant con la funzione di ante dei reliquari. La tela raffigurante Santa Chiara copre i reliquari di san Palmazio e Santa Albina; la tela raffigurante Santa Rosa da Viterbo copre i reliquari di San Quintiliano e San Vittorino. Le due opere sono ricondotte al pittore genovese Giuseppe Palmieri (1677-1740) anche nella recente attribuzione di Valentina Borniotto nel volume edito in occasione dei quattrocento anni di fondazione del convento: “Il convento dei Cappuccini di Monterosso al Mare. Quattro secoli di devozione, comunità e cultura nelle Cinque Terre (1618-2018)” A cura di Alberto Cipelli e Andrea Lercari. Sagep Genova, 2019.
Nel 1763, il Vescovo Domenico Maria Saporiti, della nobile famiglia monterossina, compì la ricognizione delle reliquie dei santi martiri Albina, Palmazio, Quintiliano e Vittorino. Al termine della ricognizione precisò che le reliquie sono collocate a destra e a sinistra dell’altare maggiore della chiesa conventuale di San Francesco di Monterosso ”anterius vitro ornato, et posterius tabulis ligneis bene clausis” ; pose quindi sui quattro lati delle due ancone lignee i propri sigilli in cera rubra legati con fili di seta color rosso.
Breve biografia dei santi martiri dei reliquiari
Albina, nata a Cesarea e appartenente alla gens Albina antica stirpe romana, era una fanciulla molto bella e nota in città perché dotata di grande intelligenza, ma anche di grande pietà verso il prossimo. Quando l'imperatore Decio - al potere dal 249 al 251 - decise di restaurare gli antichi culti pagani, stabilì l'obbligo per tutti i cittadini romani di sacrificare agli dei. Albina si rifiutò di compiere tale sacrificio, fu quindi decapitata, e il suo corpo, posto in un'imbarcazione assieme a quello di altri cristiani, fu lasciato andare alla deriva nel Mediterraneo ed approdò nella spiaggia di Scauri dove fu pietosamente raccolto e seppellito a Gaeta. Il Martirologio romano ne fissa la memoria liturgica il giorno 16 dicembre. Celebrato nell'antichità per la sua cultura, Vittorino fu vescovo di Petavio, l'odierna Ptuy nella Slovenia settentrionale. Morì martire nel 304 durante la persecuzione di Diocleziano. Il suo nome è incluso tra i Padri della Chiesa del III secolo, nel catalogo dei Padri 'latini'; la sua memoria si celebra il 3 novembre. San Quintiliano, originario di Saragozza, morì martire a Roma nel 304 nella persecuzione di Diocleziano; si ricorda la sua memoria il 16 aprile. Il console San Palmazio fu decapitato sulla via Salaria ai tempi del papa Callisto intorno al 220. Il Martirologio romano celebra la sua memoria il 5 ottobre. In occasione della dedicazione della chiesa di Monterosso la comunità dei frati preferì murare all’interno dell’altare le reliquie dei martiri Mauro e Vincenzo mentre restarono esposte sull’altare per essere venerate dai fedeli le reliquie dei santi Albina, Vittorino, Quintiliano e Palmazio.