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Il ricordo degli "amici di +Europa".

Accolgo piacevolmente da parte di +Europa La Spezia l’invito a scrivere qualcosa in memoria dell’amico e compagno Diego Del Prato, ad un anno dalla sua scomparsa.
Ovviamente ci vorrebbe più spazio e più tempo per parlare di Diego ma spero che queste due righe possano essere un momento di riflessione e ricordo dell’ottima persona che molti di noi e molti spezzini hanno avuto la fortuna di conoscere, sia per il suo impegno culturale sia per quello politico e per il ruolo amministrativo di assessore alla cultura che aveva ricoperto durante la sindacatura Federici.
Sono 10 anni esatti che faccio politica attivamente, ma fino al 2018, anno della fondazione di Più Europa, non avevo un partito di riferimento ed ero convinto che tutto sommato non potessero nascere amicizie in politica, anzi nascevano per lo più solo nuove antipatie.
Oggi posso dire che non è vero, perché la condivisione di determinati valori può aprire il cuore ai sentimenti e all’amicizia profonda, cosa rara, ma non impossibile, anche in politica.

Diego era uno studioso di storia e filosofia, che dagli archivi milanesi ha ricostruito per primo, nel bellissimo libro “La Spezia nel Quattrocento”, le origini della nostra città. Il suo saggio analizza la travagliata storia politica, sociale, economica e militare della Liguria al tempo della Repubblica Marinara di Genova e le relative ricadute sul nostro territorio con la conseguente nascita della nostra città.
Nel libro si descrivono le molte attività che esercitavano gli spezzini in epoca rinascimentale come commercianti,
agricoltori, mercanti ma anche professioni “nobili” come quelle di medici e notai. La Spezia quindi, per un certo periodo, fu fedele alleata degli Sforza i quali ne fecero un vero baluardo difensivo nei confronti dei fiorentini che estendevano i loro domini fino a Sarzana, culminando con quello che fu il massimo momento di splendore, commissionando alla città la costruzione di dieci galee, incoraggiando quella che poi fu la vocazione marittima del nostro golfo.
Io sono un architetto con una certa propensione per l’urbanistica, ma non solo quella determinata da indici e parametri, ma anche di quella dell’etica e del diritto, che parla dell’insediamento dell’essere umano sul territorio.

La nostra amicizia era nata proprio col nascere di Più Europa ed era fondata sulla condivisione di valori liberali e sociali, delle libertà economiche con uno sguardo sempre rivolto ai più deboli, cercando di non lasciare indietro nessuno e soprattutto immaginando e prefigurando la nostra città ideale.
Partendo dai romani fino alle città moderne, quelle che hanno fatto della struttura urbana a scacchiera un motivo di sviluppo egualitario, di rete condivisa, sulla quale sviluppare le migliori individualità, le migliori imprese, fatta e costruita sulle relazioni tra le persone e per le persone.

Parlavamo spesso della Barcellona di Ildefonso Cerdà, un ingegnere della seconda metà dell’ottocento esperto di pianificazione, ma che nel tempo libero era un attivista liberalsocialista, che se era necessario si faceva trovare pronto a scendere in piazza per difendere i suoi ideali e le sue tesi progressiste, ad ogni costo.
Gli spigoli smussati degli edifici di Barcellona erano pronti ad accogliere e a favorire con sicurezza quello che trent'anni dopo sarebbe diventato realtà, il traffico veloce fatto di tram e automobili.
Parlavamo anche di Adriano Olivetti della sua visione del ruolo dell’impresa e della sua personalità poliedrica che lo portarono ad occuparsi in modo fortemente innovativo di problemi sociali, politici, di urbanistica, architettura, cultura ed editoria.

Ebbene la domanda finale era più o meno sempre la stessa: ”Cosa succederà alle nostre città, nell’era della quarta rivoluzione industriale?”
Si, perché in Europa magari si vede, ma in Italia tra crolli di ponti, scuole e ospedali, la domanda era d'obbligo.
La risposta la ricercavamo (ahimè non nel 110%), in un nuovo ruolo attivo della cittadinanza. Per noi, in futuro, sarebbero stati i cittadini a determinare lo spazio che li circonda.
Ma la creazione di un nuovo modello di partecipazione al momento non è previsto da nessuna parte.
Nella riforma del titolo V, che delega alle regioni la possibilità di legiferare e regolare le attività di pianificazione attraverso i puc dei comuni, che inizialmente sembrava di stampo federalista ma che poi è risultata solo un decentramento di potere, il cittadino e il cittadino tecnico, arrivano sempre per ultimi e non hanno nessuna voce in capitolo.

Si sorrideva anche, criticando quel principio di sussidiarietà che dovrebbe essere di stampo liberale e che dovrebbe permettere ad un ente minore, cittadino o tecnico, di sviluppare un lavoro, avendone la capacità, per un ente superiore che dovrebbe sostenere l’iniziativa salvo poi trasformarsi in far lavorare il doppio gli interessati e non svolgere alcun servizio pubblico, essendo molto gravoso il carico della macchina burocratica.
Una delle possibili traduzioni di quello che immaginavamo era la possibilità di ridare voce a quelle che erano le circoscrizioni di una volta, parti definite di territorio con una loro autonomia decisionale, possibilmente ottenuta con utilizzo di tutti gli strumenti della contemporaneità.
Da sempre, infatti la difficoltà più grande per la pianificazione è stata cogliere anticipatamente quel mix di aspetti che riguardano lo sviluppo di un territorio.
Uno sviluppo corretto ed equilibrato permette ai cittadini di vivere al meglio esercitando le loro attività in stretta relazione con l’ambiente, nel rispetto delle istituzioni e della libertà e dei diritti altrui.

 

Poi c’era l’Amico Diego, quello che se iniziavi a fare battute ti seguiva a ruota e per giunta in romanesco; per noi fare politica era anche divertimento, svago, cercare quel posto particolare per andare a cena fuori e magari per scherzo progettare un volantino che recitava “Cari cittadini continueremo a mangiare per voi nelle migliori trattorie liguri, alle regionali vota Paladini, Del Prato, Valle in sostanza i tre compagni di merenda”. Il gioco era sempre quello di saper scherzare con il giusto tatto sulle persone ed anche su questioni serie, e questo ci offriva sempre uno spaccato della società sul quale ragionare per proporre qualcosa di nuovo.
Non tutta la politica quindi è mero calcolo elettorale, conteggio di tessere, confronto tra personalismi e lotte di potere, ma è anche sfidare la società, le storture e i difetti con la giusta dose di ironia pensando sempre a come fare per migliorarla. Per noi lo stare insieme in maniera complementare, era il segreto di un nuovo modello politico più orizzontale, più democratico dove l’unione fa la forza, lui era quello autorevole per natura, per intelligenza, non per grazia ricevuta come spesso accade nella politica di oggi, quella da poco, quella che si vede tutti i giorni, che è solo una sfida a far finta di sapere più degli altri, a far finta di essere qualcuno con i risultati che alla fine si vedono e sono sotto gli occhi di tutti.

Grazie Diego,

Giacomo, Matteo e tutti gli amici di Più Europa

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