”La nostra festa più antica”: così il direttore di Avvenire Marco Tarquinio ha ricordato giovedì scorso uno dei caratteri salienti della festa di Avvenire di Lerici.
Tenutasi per la prima volta nell’estate 1976, sospesa soltanto nel 2020 a causa della pandemia, la festa è giunta infatti quest’anno alla sua quarantaseiesima edizione. Le feste di Avvenire in giro per l’Italia sono cresciute di numero, ma nessuna, ovviamente, può oggi eguagliare il traguardo di Lerici. Si dovrà, prima o poi, scrivere la storia di questa manifestazione, fortemente voluta dal parroco don (poi monsignore) Franco Ricciardi, e dopo di lui dai due successori, monsignor Carlo Ricciardi e l’attuale, don Federico Paganini.
La festa, a dire il vero, ebbe una prima edizione, per così dire “anonima”, già nel 1975. C’erano state in quell’anno elezioni amministrative che avevano visto un forte aumento delle sinistre, portando con sé la reazione della base democristiana: nacquero così, in quell’estate, le feste dell’Amicizia.
Ma don Ricciardi, a Lerici ormai da tre anni, pensava che una festa popolare non dovesse avere per necessità un’impronta “politica”: poteva anche essere una festa parrocchiale, e così avvenne. Pochi mesi dopo il nuovo vescovo, Siro Silvestri, accolse in diocesi Avvenire (in precedenza, sino al 1974, il quotidiano cattolico di riferimento era Il cittadino di Genova) e nel febbraio 1976 uscì per la prima volta la pagina domenicale Spezia 7. Don Ricciardi colse per così dire la palla al balzo: con i suoi collaboratori in parrocchia, trasformò quella prima improvvisata festa popolare del 1975 nella “festa di Avvenire”, e da allora, come ha sottolineato Tarquinio, il cammino è proseguito con coraggio e con la determinazione di gettare semi destinati a fruttificare. La parrocchia ha sempre avuto il sostegno forte della diocesi, con i vescovi che si sono succeduti, e quello della struttura centrale del quotidiano.
Il direttore di allora era Angelo Narducci, che guidò il giornale nella fase non facile della sua espansione: la sua figura è stata ricordata mercoledì scorso a Lerici in occasione della consegna a Lorena Bianchetti del premio che proprio a lui, dopo la prematura scomparsa nel 1984, è stato dedicato. Il premio, pregevole icona della Madonna di Maralunga, patrona della festa, è stato consegnato a Lorena dal vescovo Luigi Ernesto Palletti e da Marco Tarquinio, dopo che Roberto Cortese ne aveva letto la motivazione.
Mentre dunque già si profila l’edizione del cinquantenario, viene da chiedersi quale sia stato, in tutti questi anni, il segreto della festa di Lerici. Di sicuro - si dovrebbe rispondere - è stata ed è un miracolo di volontariato. Quasi cinquant’anni sono tanti, e del gruppo iniziale molti, uomini e donne, hanno raggiunto o anticipato in Cielo parroci e vescovi dei primi tempi. Ma chi, per ragioni diverse, è venuto meno è stato sempre rimpiazzato, e la festa è andata avanti. Ed è bello vedere come, in questa occasione, un giornale che rappresenta oggi un miracolo di professionalità, riconosciuto anche da concorrenti e da critici, si unisca con un miracolo, appunto, di volontariato. Al centro c’è quella che proprio Lorena Bianchetti, mercoledì sera, ha descritto come l’essenza di un’informazione religiosa autentica: non un’azione di proselitismo, men che meno di propaganda, bensì un vero e proprio “servizio alla persona”. A tutte le persone, comprese quelle più dimenticate o neglette, delle quali si deve parlare e alle quali è giusto parlare. Come avviene a Lerici, in giorni di festa che idealmente si estendono a tutto l’anno. Le parole del direttore Tarquinio, dunque, hanno fatto piacere, e sono state ulteriore incoraggiamento ad andare avanti, in unità con tutta la diocesi.
Giornalismo, letteratura, comunicazione
Se pure ancora ridotta nei giorni di svolgimento e nel numero degli eventi, la festa di Avvenire di quest’anno ha presentato a Lerici alcune pagine importanti di giornalismo e di cultura. Lorena Bianchetti, premio “Narducci” 2022, ha raccontato “in presa diretta”, rispondendo alle domande di Alessandro Zaccuri, com’è nata la sua “vocazione” giornalistica e come di volta in volta si sia sviluppata, unendosi alla dimensione privata e familiare, in particolare quella di mamma. Centrali, nelle sue parole, le descrizioni dei tre Papi da lei conosciuti e intervistati: la maestosità sacrale di Giovanni Paolo II, la dolcezza e l’attenzione di Benedetto XVI, l’efficacia di Francesco, trasmessa persino da alcuni inattesi minuti di silenzio. Una lezione di giornalismo, ed anche di “giornalismo religioso”, capace di porre sempre al centro la persona umana.
A quei tratti si è uniformato Alessandro Zaccuri, già redattore e inviato di Avvenire, oggi direttore della comunicazione all’Università Cattolica di Milano. Zaccuri, essendosi anche trovato a sostituire alcune assenze forzate, è stato una sorta di “filo conduttore” dei giorni della festa, sia nelle vesti di conduttore delle serate e di intervistatore, sia in quelle di autore. Di lui, infatti, la direttrice del “festival della mente” di Sarzana Benedetta Marietti ha presentato giovedì il nuovo libro “Poco a me stesso”, rilettura romanzata della figura di Alessandro Manzoni. Non solo, però: scavando nelle vicende e quindi nella personalità dell’autore dei ”Promessi sposi” Zaccuri dà vita nel libro - ora nella rosa ristretta dei candidati al premio letterario “Alassio Centolibri” 2022 - ad un vero e proprio “giornalismo della letteratura”. Chi è giornalista una volta, del resto, lo è sempre e comunque. In questo caso l’autore ci offre non solo uno spaccato interessante della vita milanese del primo Ottocento, ma anche di quella di oggi: partendo, ad esempio, dalla considerazione che, nelle opere manzoniane, c’è una figura quasi sempre assente, la figura paterna. Un modo forse per dirci che Manzoni non è poi così lontano dai nostri tempi, ed anche come, partendo da una persona, dalle sue ansie più o meno nascoste, dall’analisi talora inespressa dei suoi scritti, la letteratura non sia affatto una “scienza morta”, bensì uno stimolo importante anche per le nuove generazioni.
Lunedì, invece, era stato Zaccuri a intervistare il collega Nello Scavo, in procinto di ripartire per Cherson, nel sud dell’Ucraina insanguinata, come inviato speciale di Avvenire. Il suo libro ”Kiev” è una sorta di diario delle prime settimane della guerra, visto non attraverso la politica, bensì stando in mezzo alla popolazione della capitale ucraina, impietrita per quanto mai si sarebbe aspettato ma pronta a reagire, sino ad impedire la conquista di Kiev. Un libro non solo da leggere, ma da far girare e studiare nelle scuole.
Ma la festa è vissuta grazie al dinamismo di don Federico, a due “spalle” importanti come Antonio De Biasi e Roberto Cortese, alle donne, agli uomini, ai ragazzi delle “cene insieme”, al coro giovanile della parrocchia e a tanti altri amici ed amiche. La festa di Avvenire è anche tutto questo: una ricchezza che non mostra l’usura del tempo. Infatti crescerà ancora.
(Testo: Egidio Banti)