Abbiamo contattato la dott.ssa Federica Berti, psicologa e psicoterapeuta spezzina e mamma di tre studentesse, per fare un quadro sulla situazione della scuola in provincia ed in tutta Italia. Il quadro dipinto dalla dottoressa non è per nulla confortante, anzi: quello di Federica Berti è un vero e proprio grido d’allarme che trova le sue fondamenta nel mancato rispetto delle linee guida nazionali.
Il quadro del sistema educativo italiano che lei dipinge ha molti lati bui. Perchè? Quali sono secondo lei gli aspetti da migliorare o da cambiare totalmente?
L'educazione primaria e secondaria in Italia si trova ancora oggi a confrontarsi con metodologie inadeguate e anacronistiche, che rendono difficoltoso il naturale sviluppo delle competenze e delle attitudini degli alunni. Le metodologie adottate seguono spesso traiettorie innaturali e che per alcuni aspetti si potrebbero persino definire “violente”: dominano la performance, la competizione, la fretta e questo fa sì che si dimentichino quelle che sono le inclinazioni personali e le esigenze essenziali degli studenti. Ai bambini e ai ragazzi si richiede conformismo, passività, adattamento. E' una formazione quasi militare e questo è palese nella disposizione dell'aula: cattedra, file di banchi monoposto, sedie scomode, nessuno che si guarda negli occhi. La comunicazione è impedita.
Lei è molto critica anche verso un'altra “pratica” comune della scuola, ovvero i compiti a casa. Perchè?
Specificherei: una mole elefantiaca di compiti a casa. La ritengo una pratica essenzialmente inutile nonché dannosa, prevaricante, limitante, stressante e discriminante, in tutto disprezzo della sbandierata inclusività.
Insomma, quello che traccia è un quadro desolante che, secondo lei, deve essere radicalmente cambiato. In che modo?
Ritengo sia urgente restituire ai bambini e ai ragazzi la loro naturale dimensione psico-fisica ed una dimensione diversa di spazio e di tempo: uno spazio che sia ospitale, un tempo che sia armonico. Poi bisogna stimolare nei ragazzi la motivazione, recuperarne la curiosità, rispettare le loro necessità di movimento ed evitare quelle sottili forme di violenza che scavano goccia dopo goccia il senso di autonomia, l'autostima, lo spirito di condivisione.
Quella che lei descrive è una vera e propria rivoluzione, che però, in qualche modo, sarebbe già contenuta nelle linee guida nazionali. Qual è la strada che indicano e perchè, a suo parere, questa strada non viene intrapresa?
Le Linee guida nazionali avrebbero dovuto apportare un significativo cambiamento nel modo di fare scuola, portando al centro dell’azione didattica l’allievo, promuovendo l’integrazione disciplinare, sostituendo i vecchi programmi con un approccio basato su competenze e obiettivi di apprendimento. Una rivoluzione, insomma, a tutto vantaggio dei ragazzi e al passo con un mondo complesso e integrato. Rivoluzione mai attuata: si continua con i vecchi programmi, con la frammentazione disciplinare, con modalità trasmissive, con un modello basato sulla dipendenza, sull’obbedienza, sulla sottomissione, sulla centralità dell’insegnante e la negazione della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e fragilità. Nelle Indicazioni sono evidenziati pilastri educativi che hanno fatto la storia del pensiero pedagogico, ma che rimangono manifesti vuoti appesi alle pareti: “Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende”; “Lo studente è posto al centro dell'azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi”.
È evidente che le prescrizioni delle Indicazioni sono assai lontane dalla situazione attuale presente nella maggior parte delle scuole, nelle quali le finalità sono definite in funzione delle esigenze e delle competenze degli insegnanti; le metodologie sono uniche e non personalizzate, sulla base di un ancora malinteso senso di uguaglianza; la maggior parte degli insegnanti continua ad appoggiarsi ai vecchi programmi e ad adottare libri di testo ormai inadeguati.
Lei, invece, questa rivoluzione ha provato ad innescarla. In che modo?
Ho provato a stimolare il rispetto delle Indicazioni proponendo un mio progetto pilota (Per un’Educazione Naturale), basato su alcuni punti fondamentali:
- Modifica e destrutturazione del Contesto Educativo: focus sulle relazioni spazio tempo, ridefinizione dell’ambiente, ispirato alla sobrietà e alla calma; centralità del linguaggio e della comunicazione; integrazione dei saperi attraverso la definizione di temi comuni di studio.
- Educazione Creativa Individualizzata, ispirata da principi quali il rispetto delle preferenze di apprendimento, il potenziamento dei talenti, il focus sul processo, lo sviluppo della creatività, la sospensione del giudizio.
Quali sono state le reazioni del mondo della scuola?
Mi sono sentita dire: “il cambiamento fa paura”, “per cambiare ci vuole tempo” – dieci anni, sic! - “le insegnanti sono abituate così”, “alcune insegnanti hanno bisogno del libro, non possiamo toglierglielo”, “le indicazioni non sono obbligatorie”, eccetera, eccetera. Le Indicazioni, ripeto, vanno applicate, e non c’è libertà di insegnamento alla quale appellarsi per sottrarsi a questo dovere. I nostri ragazzi hanno diritto ad una scuola diversa, ne hanno diritto legalmente e non solo moralmente.
Oggi sono sempre di più i giovani che hanno problemi a livello psicologico. Una scuola diversa da quella attuale potrebbe contribuire a migliorare la condizione psicologica dei ragazzi?
La comunità psicologica ha ormai da anni evidenziato quanto i bambini e i ragazzi siano stanchi, annoiati, demotivati. Sono cresciuti i disturbi psichiatrici (ansia, depressione, disturbi alimentari), gli episodi di autolesionismo e i suicidi fra i giovanissimi.
Certo la scuola non può essere messa, da sola, sul banco degli imputati, ma non può neppure sottrarsi alle sue responsabilità, considerando che i nostri figli trascorrono ore ed ore immobili ascoltando adulti o subendo interrogazioni e verifiche ed altrettante ore immobili per svolgere i compiti a casa.