"Caro Giulio,siamo qui, commossi, a renderti l’ultimo saluto. Qui, nella tua Anpi. Qui, nella tua Migliarina", così Giorgio Pagano, ex sindaco della Spezia, nel ricordare Giulio Vasoli.
"Se ne va, con te, l’ultimo partigiano della nostra zona: Favaro, la Lobbia, la Pieve, Felettino, Marcantone. L’ultimo combattente per la libertà della Migliarina antifascista".
La tua è una storia emblematica. Così me l’hai raccontata nel libro “Eppur bisogna ardir”: “Ero un ragazzo senza coscienza politica. Preferivo, al sabato, andare in giro piuttosto che partecipare al ‘premilitare’ dei fascisti. Per questo fui interrogato e rinchiuso per una notte nel famigerato 21° Reggimento Fanteria. Da lì cominciò la mia maturazione, la comprensione della distinzione tra bene e male”. Una liberazione prima esistenziale e poi politica, una responsabilità prima individuale e poi collettiva.
L’8 settembre eri militare in Croazia, arrivasti a Trieste, protetto fino al confine dai partigiani di Tito. Riuscisti a evitare il treno che ti avrebbe portato in Germania nei campi di sterminio e a salire di nascosto su un altro treno, fino alla campagna veneta. Da lì, attraverso mille peripezie -“ho guadato tre fiumi, due a piedi, il Po con una barchetta trafugata”- raggiungesti finalmente la tua Lobbia.
Poi ti chiamò la Repubblica di Salò. Ma ormai ti era chiaro che cos’erano il bene e il male: “Abbiamo messo su un’organizzazione dentro alla caserma, noi di Migliarina, eravamo dieci o undici, di notte siamo scappati e siamo andati a finire a Forno di Massa, ci siamo salvati su per i boschi. Poi sono andato a Pieve di Zignago, partigiano nel Battaglione Vanni, Brigata Gramsci. Eravamo in diciotto al comando di Eugenio Lenzi, ‘Primula rossa’. Siamo venuti tante volte a Spezia a fare dei colpi di mano: abbiamo assaltato la caserma delle brigate nere alla Flage, all’inizio della strada di Montepertico, abbiamo eliminato una brigata nera all’Ospedale del Felettino, uno che portava la forchetta nel taschino per levare gli occhi ai partigiani...”.
Sei diventato “Uragano”, hai fatto parte di una delle compagnie più coraggiose: “Ormai di notte vedevo tutto, mi ero abituato. Una notte siamo venuti per un certo lavoretto, di là dal Termo. Ma prima abbiam voluto cantare ‘Bandiera rossa’ dal centro di Migliarina al cimitero. All’indomani non si parlava d’altro".
In uno scontro con una pattuglia tedesca al Termo il tuo amico Mario Lanfranchi “Raffica” fu ferito a una gamba. Lo portasti in collo fino a Isola, poi a Carnea, infine sulla vetta del monte Croce, finché non costringesti un medico a salire sul monte per steccare la gamba ferita.
Sei sopravvissuto al terribile rastrellamento del Gottero, il 20 gennaio 1945, l’inverno più freddo del secolo, dieci giorni e dieci notti nella neve: “Eravamo 125, siamo arrivati a Borgotaro in dieci o dodici, gli altri li abbiam lasciati alle Casermette di Guinadi, congelati o con la bronchite. Mi sono salvato perché in Croazia mi ero abituato al freddo”.
Nel tuo racconto ci sono tanti nomi di partigiani migliarinesi, a cominciare da Astorre Tanca e da Franco Mocchi “Paolo”, che furono, dal gennaio 1945, il tuo comandante e il tuo commissario politico. E poi Ferruccio Pellegrinelli, il pugile, Otello Binasco “Mina”, Ciro Rossi, il barbiere, Carlo Borione “Bill secondo”, Rolando Lambertucci “Orlando”, Amleto Maneschi “Ruggero”, Mario Ichestre, Emilio Maneschi e i suoi tre fratelli, e tantissimi altri.
Ci sono, nel tuo racconto, le donne di Migliarina: “Mia mamma, mia sorella, mi portavamo le armi sopra il Felettino. Se non c’era l’aiuto delle donne era finita”. C’è, nel tuo racconto, il rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944: “Presero mio padre e mio fratello Mario. Guerra e Capitani delle brigate nere riconobbero mio fratello, lo portarono a Genova, e da lì finì a Mauthausen. Tornò nel giugno 1945, pesava ventotto chili”.
Caro Giulio, la tua vita spiega che cosa fu la Resistenza: guerra patriottica, civile, sociale, fondata sulla ribellione morale. Aspiravi, aspiravate, all’eguaglianza e alla libertà: alla fratellanza.
Caro Giulio, cari compagni e amici partigiani di Migliarina, ora che una generazione ha lasciato la scena, ricordiamo la vostra allegria, il sentimento di amicizia che vi legava. Perché avevate vissuto insieme il momento più alto della vostra esistenza. Ti portavi, vi portavate dentro l’eguaglianza e la libertà: la fratellanza. Sei stato, siete stati, partigiani sempre, in modo via via diverso, ma comunque fedeli a un mandato, a un’idea. Tu Giulio, lo sei stato tutta la vita, anche come lavoratore discriminato per la fedeltà a un’idea.
Caro Giulio, cari compagni e amici partigiani di Migliarina, potremo onorare la vostra memoria in un solo modo: impegnandoci per attuare la Costituzione nata dalla Resistenza. Siamo davanti a una delle prove più difficili della nostra democrazia. Sono deboli tutte le voci di eguaglianza e di libertà. Abbiamo bisogno di più Costituzione. La memoria della Resistenza ci aiuta a dirlo forte.
Caro Giulio, ora che ti accompagniamo verso l’ultimo viaggio, vicini ai tuoi figli Loredana e Roberto e ai tuoi cari, vogliamo dirti grazie. Vogliamo dirti che resterai nelle nostre menti e nei nostri cuori. Perché, nella nostra vita, abbiamo e avremo bisogno di tornare sempre ai principi fondamentali, quelli incarnati nella tua vita. Ciao Giulio, ora e sempre Resistenza".