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"I nostri sanitari lavorano in condizioni di grave pericolo" In evidenza

L'intervista a Giuseppa Scuto (OPI La Spezia), per fare chiarezza su alcuni aspetti legati all'emergenza coronavirus.

A fronte dell'emergenza coronavirus abbiamo deciso di intervistare Giuseppa Scuto, tesoriera emerita dell'Ordine delle professioni infermieristiche della Spezia e infermiera pediatrica.

Innanzitutto, quale è la situazione oggi nella provincia spezzina per quel che riguarda l'Emergenza Coronavirus?

Quella che vediamo dai dati giornalieri e che dimostrano un interessamento della popolazione tale che, pur non raggiungendo i drammatici numeri della Lombardia (e speriamo di non arrivarci mai) ha come effetto un pesante coinvolgimento delle strutture sanitarie, che faticano a reggere l'impatto, vista la loro natura architettonica e le carenze (che c'erano in tempo di pace) di personale: non solo in termini assoluti, ma in termini di ''idoneità'' al ruolo, cioè senza limitazioni del medico competente.

Quali sono le criticità più evidenti?

Disponibilità di posti letto, disponibilità di professionisti, e DPI. I posti letto disponibili nelle Rianimazioni di ASL 5 erano, prima della pandemia, 14. Oggi con grande sforzo organizzativo sono praticamente raddoppiati, ma chiaramente il loro esaurimento è il primo pensiero di tutti. E poi non dimentichiamo che i malati non sono solo in terapia intensiva, ma ormai ovunque; non dimentichiamo che restano le patologie di sempre, dall'infarto al cesareo d'urgenza, e la macchina organizzativa deve rispondere anche su questi episodi in modo esaustivo.

E questo mentre, come è stato denunciato in tutta Italia, i DPI (dispositivi di protezione individuale) sono disponibili ma in misura sicuramente inferiore alle richieste, perchè il consumo è enorme, e perchè la produzione nazionale è stata semplicemente dismessa anni fa, poichè poco remunerativa, come ha denunciato il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli pochi giorni or sono, in quello che rappresenta un segno di gravissima miopia.

Infatti, adesso che c'è la pandemia i Paesi produttori - ovviamente- ci inviano solo le quote a loro non necessarie. E i nostri sanitari lavorano in situazioni di grande pericolo. Non solo non è giusto, ma quando si ammaleranno in numero significativo, chi a quel punto si prenderà cura dei pazienti?.

Oggi in Italia siamo a oltre tremila sanitari contagiati e con manifestazioni cliniche (ricordiamo che le manifestazioni cliniche vengono soltanto ad una minoranza degli infettati, quindi il numero degli infettati è di certo più alto). E' già stato detto: a causa di una ''dipendenza dall'estero'' mancano spesso i presidi ''base'' come le mascherine, i DPI più idonei e anche i gel idroalcolici per la disinfezione delle mani, e dovrebbe esserci una ridistribuzione di ciò che è a disposizione verso i reparti con maggior necessità e bisogno.

Ma questo scopre i reparti di degenza ''tradizionali'' e così il contatto con gli infetti''non protetto'' cresce.  Quindi l'effetto è l'aumento dei contagi del personale e, di riflesso, di tutti quei pazienti che vengono in contatto con loro. Spezzare ora questa spirale è un pò complicato.

I sindacati denunciano, non da oggi, un trattamento scorretto da parte di Asl 5 nei confronti degli infermieri, in questo senso si può dire come l'Emergenza Coronavirus abbia reso ancora più evidente una situazione già tesa. Come vi esprimete come Ordine?

Come Ordine da tanto tempo cerchiamo di portare, sotto gli occhi di tutti i nostri interlocutori, gli effetti dei tagli del personale, del blocco del turn over, dell'allungamento della vita lavorativa, della assenza di concorsi aperti a tutti, che nella nostra ASL si è protratta dal 2006 al 2017.

Il risultato è un mix tossico, che ha portato all'innalzamento dell'età media di chi lavora (con conseguente crescita percentuale di limitazioni:questo vale ormai per tutte le categoria professionali).  Inoltre, anche se naturalmente non è questa la sede per descrivere il fenomeno, ma le ''professioni di aiuto'' finiscono col ''consumare'' emotivamente i professionisti coinvolti, e non si può chiedere a un infermiere di 59 anni di continuare a lavorare con la stessa disponibilità fisica -e soprattutto emotiva- di quando di anni ne aveva 27.

Soprattutto, se servono dati misurabili che noi abbiamo descritto a chiunque negli ultimi 15 anni, ci sono ricerche internazionali che dimostrano che cosa succede in una normale corsia, in tempi normali, quando un infermiere non si presenta in servizio e non viene reintegrato da qualcuno altrettanto esperto. La ricerca alla quale facciamo riferimento si chiama RN4CAST, nasce negli USA ed arriva in Italia con l'Università di Genova, e spiega che aumenta il rischio di morte fino al 7%, se gli infermieri non sono presenti in numero adeguato, e con le necessarie competenze.

Ma da quando i bilanci della Sanità sono ''aziendali'', chi legge i numeri facilmente scopre che con tre infermieri in meno sono stati risparmiati (ipotesi) 150mila euro in un anno fra stipendi e contributi: peccato che l'effetto di questi tagli (aumento delle infezioni, aumento delle lesioni da decubito, mancato soccorso, mancata educazione sanitaria alla dimissione, mancati interventi di base) siano semplicemente ''non presenti'' nei bilanci aziendali, ed ecco il risultato. Questo, sia chiaro, è quanto succede in Italia, ed è riferito al SSN italiano, nonsolo ad ASL 5.

Gli infermieri sono in prima linea nella gestione dell'Emergenza, crede che quando tutto sarà finito cambierà qualcosa nella gestione del Sistema Sanitario?

Chissà. Da anni ricordiamo che dovremmo essere ascoltati di più, ma non per un vanto di categoria: ma perchè siamo davvero centrali nelle attività. La nostra, per restare in ASL 5, è la sola figura presente H24 in tutte le degenze. In quelle dell'emergenza c'è naturalmente anche il medico, in quella del materno infantile c'è l'ostetrica, in altre c'è l'oss: ma la sola figura sempre presente e ovunque sulle 24 ore di ogni giorno dell'anno è la nostra e infatti ora, col problema virus, ecco tutti i problemi dei tagli del passato! Non siamo in numero adeguato per far fronte sia all'emergenza in atto, sia alle già numerose assenze di colleghi.

Da anni proponiamo modalità organizzative strategiche che già in altre realtà della Liguria sono partite, dall'infermiere di famiglia e comunità alla degenza a gestione infermieristica: ad onor del vero qui c'eravamo quasi, ma l'emergenza COVID-19 ha sospeso ogni decisione, ovviamente, su questi aspetti che, ove attivati, hanno decisamente migliorato l'organizzazione.

E poi, guardi: non è roba nostra perchè i contratti sono tema sindacale; ma dobbiamo riportare le richieste di tanti nostri Colleghi di prima linea, sul fronte più caldo di questa guerra: è difficile pensare che questi ''eroi'', come siamo stati definiti, viaggino ancora oggi con le stesse indennità di reperibilità del 1988, quando per 12 ore di reperibilità venivano riconosciute 40mila lire: oggi si guadagna la stessa cifra, cioè 20,66 euro. Una elemosina che non si allinea con le richieste di impegno costante e professionalmente qualificato.

Noi speriamo che qualcuno raccolga le istanze di professionisti decisivi nella gestione della Salute. Aggiungiamo uno spunto di riflessione: in tempo di pace avevamo punte di 50 persone in sala d'attesa nei nostri Pronto Soccorso di ASL 5; oggi non si arriva a dieci come dato medio. Sarebbe bene rianalizzare seriamente la cosa finita questa guerra, perchè tanti sanitari in certi luoghi vengono percossi da utenti stressati dall'attesa, attesa che evidentemente è causata anche (non solo, ma anche) da chi non aveva una necessità stringente di recarsi in quei luoghi.

Abbiamo visto per settimane cosa stava succedendo in Cina, quindi non si può dire che mancasse l'informazione. Come è stato possibile che la situazione in Italia degenerasse così in fretta? Cosa è mancato?
In effetti è mancata la capacità di far tesoro di quello che stava avvenendo, pensiamo: soprattutto a livello di azioni protettive e preventive.

Ma del resto la prevenzione e la educazione sanitaria in Italia hanno subìto da anni tagli e colpi di scure pazzeschi, e questo è inconcepibile: perchè - anzi- poter prevenire un fenomeno o una patologia ha un vantaggio non solo sul fortunato cittadino intercettato, ma sul sistema sanitario intero. Manca proprio la abitudine a prevenire le situazioni negative: altrimenti decenni di tagli non li avremmo avuti.

Cosa ne pensa della proposta di creare un reparto ad hoc al San Bartolomeo? Sarebbe sufficiente o servirebbe invece un'intera struttura dedicata?

Già da altri è stata avanzata la proposta di fare del S. Bartolomeo un ''ospedale COVID19'' e del S. Andrea (che gestisce le emergenze) una struttura ''COVID free'' e noi siamo assolutamente d'accordo.

Su questa via sono andate le scelte di altre realtà, e pochi giorni fa anche il Gaslini ha deciso di avere padiglioni COVID free; anche in questo caso (questa cosa capita spesso non solo nella Sanità, ma in tutto il nostro territorio) è mancata la capacità di raccogliere spunti e dimostrazioni esterne.

Copiare da dove funziona non è un limite, anzi: è un segno di umile intelligenza, forse di maggior acume: perchè se una cosa è andata bene nel tale posto devo trovare il modo di farla uguale, per raggiungere quel risultato.

Mai come ora non serve dire ''io l'avevo detto'' o una strumentalizzazione politica, servirebbe solo unità di azione, serve remare tutti dalla stessa parte. Non sappiamo se e quali scelte saranno prese, ma di certo a questo punto i portatori di COVID sono ricoverati più o meno ovunque, stando al moltiplicarsi delle segnalazioni, e crediamo che ricollocarli tutti in un settore specifico non sarà una impresa molto facile.

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