È con sofferenza che sto vivendo queste giornate. Sono stato fin dall'inizio sostenitore convinto della svolta innovativa che Matteo Renzi ha portato alla politica e all'immagine del partito. E del cambiamento che ha provato a portare nella sua azione di governo. Un profondo mutamento che, a mio parere, si era reso necessario per evitare di essere travolti dal disastro che sta coinvolgendo molti degli storici partiti della sinistra europea.
Abbiamo bisogno di approntare nuovi strumenti per capire una società che non può più essere interpretata solamente sull'asse destra/sinistra ma secondo nuovi criteri, quelli della contrapposizione tra inclusione ed esclusione, tra apertura e chiusura, tra paura e speranza.
Per essere più chiaro: chi è disperato e si sente escluso dal benessere si chiude ad ogni novità, vede l'immigrazione con rabbia, ha paura. Vota contro, vota gli estremismi o i populismi.
Il PD che speravo in quei mesi ha dimostrato di non esserci. Non è riuscito a parlare con gli italiani più deboli. Il PD ha perso i consensi tra i giovani (primo partito tra i pensionati scende a poco più del 10% tra i più giovani), tra i più poveri (intorno al 10%), tra gli esclusi (al 10% tra i disoccupati).
Stiamo forse diventando un partito delle élite che prende voti nelle aree più avanzate ma perde complessivamente nel nord Italia nei confronti della proposta liberista del Centro Destra (flat tax e partite IVA) o nel sud verso l'assistenzialismo dei Cinque Stelle?
Evidentemente la nostra proposta si è persa nel guado.
Penso che non debba essere distrutto l'edificio PD, ma semplicemente ristrutturato, intonacato di nuovo, rafforzato nelle basi, in poche parole reso più accogliente per tutti.
Riportare i contenuti al centro del dibattito politico, dentro e fuori il partito, e solamente su quelli costruire il confronto, non sui nomi o sull’appartenenza. Forse anch’io ragiono con strumenti vecchi, ma a mio parere l'unico modo di evitare il congresso permanente è quello di coinvolgere le minoranze nel governo del Partito. Senza confusione di ruoli tra maggioranza e minoranza ma senza quelle aberrazioni per le quali passa il principio “meno siamo e meglio è, almeno siamo tutti d'accordo”! Io non sono d'accordo! Per me la politica è confronto, discussione, dialettica continua, senza paura. Devo essere convinto di avere un ruolo anche se sono in minoranza e pronto a vincere il prossimo congresso. Lo dico con rammarico ma il modello del PD del leader, esclusivo ed escludente, ha perso.
Occorre tornare a discutere di contenuti, di progetto, di visione negli organi direttivi. Mettendo al centro di tutto le politiche per il lavoro.
A tutti i livelli, anche a quello locale occorre un profondo cambiamento.
Occorre essere capaci di tornare a selezionare la classe dirigente di un territorio.
I congressi non possono più limitarsi a un voto senza dibattito.
Le assemblee e i circoli non possono più rimanere strumenti per gli iscritti, peraltro sempre di meno. O si aprono a tutti oppure non hanno più senso.
Io ricordo quando fare politica nei partiti rappresentava un valore in sè. Oggi?
Anch'io ho colpa. Di non aver avuto il coraggio di esprimere prima le mie impressioni in modo chiaro e pubblico. Non intendo andare avanti così. Per questo ritengo necessarie le mie dimissioni da segretario del circolo di Follo e dalla direzione provinciale. Questo, sottolineo, NON fa venir meno il mio impegno nel progetto del Partito Democratico che però continuerà in maniera più aperta, più libera, e forse anche più produttiva. Non sono dimissioni contro qualcuno ma dimissioni personali che vogliono contribuire a aprire una profonda discussione.
Forse ho un modo tutto mio di intendere la politica, un po' solitario e un po' naif. Ma la politica la ho sempre frequentata con piacere e passione. Voglio continuare a farla così, ad essere convincente perché convinto di rappresentare una grande forza politica di giustizia. Non sto cambiando partito o componente, sto solo cambiando il mio modo di stare nel PD. Senza rinnegare nulla.
Roberto Pomo