Considerato l'elevato numero di candidati sindaco per le amministrative alla Spezia che esercitano la professione di avvocato e considerando anche che molti sono i candidati consiglieri, in tutte le liste, senza distinzioni tra centrodestra, centrosinistra e realtà civiche, che lavorano nell'ambito giuridico, abbiamo rivolto alcune domande al Presidente dell'Ordine degli Avvocati della Spezia, Enrico Angelini, per cercare di capire se alla base di tale volontà di impegnarsi in politica ci sono motivazioni particolari, da ricercare proprio nel tipo di professione svolta.
Negli ultimi anni non pochi giudici, magistrati e avvocati hanno deciso di impegnarsi attivamente in politica, sia a livello nazionale che locale. Anche La Spezia non sfugge a questa tendenza e, dopo aver avuto nella consiliatura ormai al termine diversi avvocati in Consiglio Comunale, ora anche tra i candidati sindaco ci sono diversi legali. Come mai secondo lei gli avvocati sono attratti dall'impegno non tecnico ma politico nelle istituzioni?
Non è una novità degli ultimi anni il fatto che gli avvocati siano spesso impegnati in politica. Da Cicerone a Piero Calamandrei, un legame indissolubile lega i giuristi alla vita pubblica. Ne sia testimonianza il fatto che, nella storia della Repubblica Italiana, l'avvocatura è la categoria professionale più rappresentata in Parlamento, così come, spesso, anche nelle istituzioni locali. Credo che l'interesse verso la politica sia la naturale conseguenza del percorso formativo culturale e professionale, che induce soprattutto gli avvocati ad interessarsi alla direzione e gestione della cosa pubblica nel rispetto di quel modello di uomo e di società perfettamente disegnato dalla nostra carta costituzionale.
Un sindaco che sia uomo o donna di legge può avere, nel guidare l'amministrazione di una città, un “qualcosa in più”? e che cosa?
Non è certamente il titolo a fare la differenza. Essenziale è la assimilazione e padronanza dei principi fondamentali e delle leggi, fondamento irrinunciabile affinché un candidato, sia esso o meno giurista, possa offrire un valore aggiunto nell'esercizio dell'incarico che si propone di assumere. Ma soprattutto il buon senso, da intendersi come capacità di rapportarsi alle cose e alle persone nell'interesse comune, scevra da logiche di parte.
Guardando tutto questo, invece, dalla prospettiva del cittadino-cliente del legale, la discesa nel campo politico di quest'ultimo può costituire un danno, in riferimento in particolare a cause di particolare rilevanza? Sicuramente deve essere un passaggio preparato: questo accade in linea di massima?
E' evidente che l'attività politica assorba tempo ed energie, tanto in ambito locale, quanto nazionale. Ma auspico, e vorrei esser certo, che chiunque si appresti alla discesa in campo non dimentichi mai il dovere di adempiere con coscienza e diligenza l'incarico professionale.
Il rapporto tra uomini e donne di legge e politica è una delle questioni centrali della riforma della giustizia della quale si discute in Parlamento. Che cosa pensa al riguardo?
Il tema dei conflitti di interesse e della partecipazione alla vita politica dei magistrati è particolarmente delicato e da tempo al centro dell'attenzione. Mi limito a dire che il rapporto di terzietà tra potere politico amministrativo e legislativo ed il potere giudiziario è indispensabile al corretto esercizio delle funzioni spettanti ad ognuno dei protagonisti. Abbiamo assistito, abbiamo vissuto l'era delle porte girevoli, ed abbiamo avuto modo di apprezzare quali e quante distorsioni abbiano prodotto. E' ora giunto il momento di mettere ordine, avendo come punto di riferimento i principi ai quali i padri costituenti si sono ispirati nel dettare le regole fondamentali.