La fornitura da parte dell’Italia all’Egitto delle due fregate Fremm originariamente destinate alla Marina Militare non solo è in chiaro contrasto con le norme sancite dalla legge n. 185 del 1990 sulle esportazioni di armamenti, ma costituisce un esplicito e diretto sostegno al regime repressivo instaurato dal generale al-Sisi all’indomani del colpo di stato del luglio 2013. L’eventuale rimpiazzo delle due fregate alla Marina Militare non comporterà specifici benefici occupazionali per il territorio spezzino, mentre è sicuro che costituirà un’ulteriore spesa a carico dei contribuenti italiani già gravati dalle conseguenze dell’epidemia da Covid-19.
Aderendo all’appello “Stop armi all’Egitto” promosso da Amnesty International Italia, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace, chiediamo perciò a tutte le forze politiche di opporsi alle forniture militari all’Egitto. Sosteniamo l’iniziativa promossa dalla Campagna di pressione alle “banche armate” che invita tutte le associazioni e i correntisti a chiedere alla propria banca di manifestare pubblicamente il rifiuto a concedere prestiti e servizi finanziari alle aziende per la vendita di sistemi militari all’Egitto.
Intendiamo innanzitutto chiarire che l’approvazione dell’esportazione alla Repubblica Araba dell’Egitto delle due fregate Fremm (la Spartaco Schergat e la Emilio Bianchi), non risulta da alcun atto ufficiale del governo italiano: si tratta, infatti, di notizie di stampa riportate a margine del Consiglio dei ministri dello scorso 11 giugno di cui, però, non vi è alcuna menzione nel comunicato stampa emesso da Palazzo Chigi. Proprio per questo sosteniamo la richiesta di Amnesty International Italia, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace affinché la questione sia portata urgentemente all’attenzione del parlamento.
E’ il parlamento, infatti, la sede appropriata per una discussione approfondita e trasparente su tutti gli aspetti delle trattative in corso tra Roma e il Cairo di cui diverse fonti di stampa, estera e nazionale, hanno dato notizia: una commessa del valore tra i 9 e gli 11 miliardi di euro che prevede, oltre alle due fregate multimissione Fremm, anche la fornitura all’Egitto di altre quattro fregate missilistiche, 20 pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), 24 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon e altrettanti aerei addestratori M-346 più un satellite militare di osservazione. Un colossale affare militare che è già stato definito “la commessa del secolo” e che farà dell’Egitto il maggiore acquirente di sistemi militari italiani.
Questa nuova fornitura di armamenti, dopo gli oltre 871 milioni di euro di esportazioni militari autorizzate dall’Italia all’Egitto nel 2019, è oltraggiosa non solo nei confronti della memoria di Giulio Regeni, il giovane ricercatore italiano barbaramente torturato e ucciso in Egitto e sulla cui morte le autorità egiziane non hanno mai contribuito a fare chiarezza, ma anche di tutti coloro – oppositori politici, sindacalisti, giornalisti, attivisti dei diritti umani – che vengono tuttora perseguitati, torturati e incarcerati perché non sono graditi al regime imposto dal generale al-Sisi, come dimostra anche il caso del giovane universitario di Bologna, Patrick Zaky.
In riferimento al presunto ritorno economico e commerciale dell’operazione segnaliamo che finora l’unica cosa che appare probabile è la vendita delle due fregate Fremm con fondi anticipati dal nostro Paese per circa 1,1 miliardi di euro di cui 650 milioni già versati a Fincantieri a cui si aggiungeranno circa 500 milioni garantiti dalla Cassa Depositi a Prestiti coinvolgendo la Sace e alcune banche, quali Intesa Sanpaolo, Bnp Paribas e Santander. La Marina Militare verrebbe compensata con due nuove fregate Fremm, a spese dello Stato e del contribuente italiano.
L’operazione risulta ancor più deleteria per lo Stato egiziano già gravato da un debito insostenibile che ha portato alla drastica riduzione di servizi sociali. E’ particolarmente dannosa per la popolazione egiziana: come ha recentemente certificato un’indagine dell’Agenzia ufficiale statistica dell’Egitto Campas, il tasso di povertà continua a crescere tanto che quasi un terzo degli egiziani, 32 milioni di persone, vive sotto la soglia di povertà mentre all’incirca altro terzo solo poco sopra.
Riguardo ai presunti benefici occupazionali per il territorio spezzino che risulterebbero dall’eventuale contratto militare con l’Egitto segnaliamo che è molto probabile che la costruzione di navi da pattugliamento avvenga in Egitto da parte di Fincantieri e ciò rappresenterebbe l’ennesima delocalizzazione di attività produttive all’estero a scapito della cantieristica italiana.
Non è inoltre vero che il diniego all’autorizzazione all’esportazione danneggerebbe Fincantieri nel mercato internazionale a vantaggio di altri competitori esteri: la normativa europea ed in particolare la Posizione Comune 2008/944/PESC prevede precise norme per prevenire la concorrenza sleale anche in materia di esportazione di armamenti. Non autorizzando l’esportazione all’Egitto, l’Italia ha l’effettiva possibilità di bloccarla anche per tutti i Paesi dell’Unione europea.
Vogliamo ribadire che, come l’emergenza Covid-19 ha evidenziato, l’Italia possiede un’industria militare in grado di produrre tutti gli armamenti necessari per fare una guerra ma è gravemente insufficiente nella produzione di apparecchiature medico-sanitarie. Continuare a incentivare la produzione militare, che per due terzi è diretta al di fuori dei paesi alleati e soprattutto nelle zone di maggior conflitto, significa sostenere un comparto che non solo mette a repentaglio la sicurezza e la pace internazionale, ma distoglie risorse necessarie a settori, come quello sanitario e educativo che sono seriamente carenti.
Tutto questo ha un particolare significato per la nostra città e il nostro territorio che non può pensare di continuare a fondare la propria economia sulla produzione militare, ma deve mettere in campo progetti di riconversione al civile a favore delle energie rinnovabili, della tutela ambientale, del turismo responsabile e dello sviluppo sostenibile nel rispetto dei diritti delle persone e dei popoli.
Firmato dalle seguenti realtà della Spezia:
ACLI, ARCI, Associazione Posidonia, Associazione L’Alveare, Associazione Culturale Mediterraneo, Associazione di solidarietà al popolo Saharawi, Comitato Acquabenecomune, Emergency, Gruppo di Azione Nonviolenta, ll Mondo Dentro, Legambiente, Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana.