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Lo sbarco di Caterina de’ Medici In evidenza

di Andrea Marmori - "Et detta S. Duchessina se n'handata alla Spezza et a questa hora credo sia ariuatta et domane secondo se dice monterà in Galera. Le quali Galere sino a qui sono in detto luocho della Spezza senza fare danno alguno.

Li gentilhomj hano ditto che la S.tà del Papa douea hoggi partirsi da Roma et venire anchora lei montare alla Spezza". In questa lettera datata al 6 settembre del 1533 e inviata dal Capitano di Sarzana al Banco di San Giorgio, rinvenuta e pubblicata da Ubaldo Mazzini all'inizio del Novecento, si dice, per sintesi, il giungere nel Golfo della futura regina di Francia.  Proprio questo è l'episodio, tra i più noti del Rinascimento spezzino, narrato nel dipinto, acquistato dalla Banca allo scadere del 1985, vale a dire l'arrivo nella tarda estate del 1533 di Caterina de' Medici alla Spezia, da dove si imbarca alla volta di Marsiglia per andare sposa a Enrico di Valois, Duca di Orleans, secondogenito del re di Francia e poi, inaspettatamente, sovrano di quel regno. L'evento dovette suscitare un certo fermento nella popolazione e negli amministratori della cosa pubblica, come accadde ancora un mese dopo, quando concitatamente si apprestano gli apparati per onorare la nuova venuta in città del papa Clemente VII reduce dell'accompagnamento di Caterina, sua nipote, a quel suo nuovo destino.  La tessitura narrativa del dipinto, eseguito nel 1933, a cinquecento anni esatti dall'avvenimento, è fitta e articolata, nel tentativo di contestualizzare quell'accadimento di cui restano informazioni documentarie, con lecito orgoglio rinvenute dall'infaticabile Ubaldo Mazzini tra le carte storiche dell'Archivio Comunale. La futura sposa, che all'epoca era poco più che bimbetta, quattordicenne appena, è ritratta, con sicura indulgenza fisionomica, nel momento in cui scende da cavallo, accolta con deferenza dalla festante popolazione spezzina e del Golfo, che si accalca a lanciare petali di rosa all'augusta ospite: sullo sfondo la costa orientale, in direzione di Lerici, sovrastata dalla maestà delle Apuane, schiarite in vetta dal tramonto settembrino e alla fonda le affollate galere del re di Francia, che già erano in rada in attesa di Caterina, comandate dal Duca d'Albania. Caterina è accompagnata da Filippo Strozzi, dal vescovo Leonardo Tornabuoni, Palla Rucellai, Caterina Cybo Duchessa di Camerino, Maria Medici Salviati e accolta da Andrea De Fornari Capitano, che governava la città per conto della Repubblica, e da due sindaci che rappresentavano la comunità: Bernardo Massa e Pier Giovanni di Mattia Biassolli. Luigi Agretti è soprattutto abile narratore, come qui ben dimostra traducendo con diligenza, per immagini, le cronache rinvenute da Mazzini. Formatosi sotto l'ala protettrice del padre Cesare, pittore e decoratore perugino di nascita e spezzino d'adozione, avvia la propria carriera con straordinaria precocità, quando debutta, quattordicenne appena, nell'impresa decorativa dell'ottocentesco minuscolo Teatro della Concordia, in Umbria, a Monte Castello di Vibio. Esperienza di viva formazione, acerba per necessità, la decorazione del teatro, pur nell'utilizzo di un repertorio formale di attardatissima matrice neoclassica, in sintonia con il lessico formale dell'architettura dell'edificio, illustra già alcuni indizi della gioiosa e sensitiva ortografia di Agretti. La seguente frequentazione dell'Accademia di Belle Arti a Roma e il faticoso quanto formativo alunnato con i suoi maestri Domenico Bruschi e Annibale Brugnoli, che lo coinvolgono ancor ragazzetto in numerose imprese decorative, gli permettono di raggiungere una precoce abilità di mestiere che resterà intatta nel corso della sua lunga carriera. Nell'alternare la produzione da cavalletto con la fitta attività di affrescatore e decoratore Agretti mantiene infatti una sicurezza di scrittura acquistata "sul campo", associata a un frasario festoso e di morbida sensualità. Nell'impresa del soffitto della sala da ballo della Palazzina Crozza della Spezia, ora Biblioteca Civica "Ubaldo Mazzini", le figure femminili chiamate a raccolta dimostrano una loro mobile e un po'estenuata carnalità, in una vivace prodigalità cromatica e luministica, che, se da un lato lascia addirittura emergere memoria di suggestioni tutte tiepolesche, in direzione neo-veneta, dall'altro è dichiarata dimostrazione di come Agretti sia in debito dei testi dei suoi mentori: l'Allegoria dell'Aurora dipinta da Brugnoli nel 1888 nella volta della Sala dello Zodiaco al Palazzo del Quirinale deve aver lasciato un segno profondo, se ancora a distanza di decenni ne persiste l'eco nell'operato del pittore spezzino, tanto per contenuti che per linguaggio. Se ne ravvisa il riverbero anche nella tela illustrante l'episodio di Caterina, dove la profusione di gesti e fiori, di cui è responsabile il gruppo femminile che emerge dall'angolo inferiore destro del dipinto, scompone la schiera altrimenti serrata, in quel moto rapido e urgente che era già nel testo di Brugnoli dove a illustrazione della fugacità del movimento l'Aurora "dalle dita di rosa" e le sue leggere assistenti sopraggiungono e procedono, anche oltre i serrati limiti dello spazio pittorico. Quel vorticare spumoso di carne, drappi e petali, che anche tornava, mutatis mutandis, nella perduta decorazione eseguita da Agretti nel primo lustro degli anni Venti del Novecento al cinema teatro Cozzani della Spezia a raffigurare il Carro del Sole, si acquieta nella tela evocativa dello sbarco della giovane Medici, pur restando come un fremito di sottofondo. La tela è un gustosissimo rendiconto visivo di un episodio avvenuto nel tardo Rinascimento, ora narrato secondo modi e formule contemporanei al suo autore. Nonostante il dovizioso ascolto delle fonti e il rispetto quasi filologico di alcuni particolari – si notino le figure sulla sinistra che sfoggiano in maniera esemplare l'abito tradizionale spezzino, desunto, forse, dagli esempi conservati nella Civica Collezione Podenzana – Agretti non può esimersi dal dire con sue parole. Ed ecco che Caterina smonta dal bianco destriero e si appresta a percorrere il red carpet, in un'incipiente passerella da vera star del cinema. Le fisionomie, i gesti, gli abiti stessi sembrano desunti dal repertorio cinematografico coevo – si pensi a certa produzione di ambientazione storica, tra tutti l'apprezzatissimo Ettore Fieramosca di Alessandro Blasetti, uscito nelle sale nel1938 – contribuendo a restituire così un rendiconto storico edulcorato e di maniera, che negli anni di regime piaceva senza turbare. Tratto dalla Newsletter della Fondazione Carispezia

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