E anche quest’anno, puntuale come ogni anno, è arrivato il Natale. Ricordo con grande nostalgia, forse perché sono passati più di vent’anni, che durante questo periodo si scatenava nel paese -più che nel paese nei salotti della cosiddetta intellighenzia- quel dibattito puntuale e rumoroso che apriva il confronto sul giudizio di merito sul film di Natale, il cinepanettone. E apriti cielo!
Ricordo che per anni, puntuale come un orologio svizzero, arrivava il grande momento delle tifoserie: da una parte i “pro cinepanettoni” e dall’altra i “contro cinepanettoni”. Il dibattito sui diritti civili o il patriarcato all’inizio di questo millennio non era così acceso. Si tendeva ad affrontare il “dossier cinepanettone” con una lente di ingrandimento che mirava (con la differenza delle tesi portate avanti) ad analizzare gli effetti culturali e sociali che queste pellicole avrebbero portato nel paese. Un dibattito sull’opportunità, o meno, di proiettare certi film e il grande interrogativo circa il successo di pubblico che queste proiezioni stavano avendo. Era anche il momento storico del Grande Fratello e del secondo Governo Berlusconi. Era un momento nel quale (siamo nel 2006) Nanni Moretti al cinema dava il suo colpo di coda con l’uscita de “Il Caimano”. Un controcanto che parlava a quel pubblico che in sala a vedere i cinepanettoni non ci andava e non ci sarebbe mai andato. Eravamo tutti dentro la bolla dell’antiberlusconismo galoppante con un’Italia divisa in due che guardava alla stagione del bipolarismo come l’isola felice per tornare ad essere un paese migliore dopo l’esperienza difficile del secondo Governo Prodi. Veltroni fece di tutto per incarnare quel sentimento ma da lì a poco (oltre alla sconfitta delle elezioni politiche del 2008) sarebbe arrivato Beppe Grillo e della “pulsione bipolarista” ce ne saremmo fatti veramente ben poco. Ma questa è un’altra storia…
In realtà il filo che collega il dibattito ai cinepanettoni parte ben prima degli inizi del 2000. Nasce ovviamente negli anni ottanta. Nasce dalla scuola dei Vanzina che sulla neve o al mare decidono di raccontare le famiglie italiane in vacanza. Decidono di rappresentare i vizi e le virtù, decidono di fare una fotografia del paese in quell'esatto momento. Lo fanno raccontando la verità. E se il cinema è verità perché indignarsi? Questo me lo sono sempre chiesto. La rappresentazione di ciò che accade intorno a noi, nelle diverse sfaccettature nelle quali si può presentare, non può mai essere qualcosa di sbagliato. Ci si può certamente confrontare su ciò che si vede, non tutto si deve per forza apprezzare o per forza capire, per fortuna non siamo tutti uguali e non abbiamo i soliti gusti o la solita sensibilità.
Quello che però è stato sinceramente insopportabile di quel periodo è rappresentato dalla stagione delle crociate contro i cinepanettoni. Una forma di intolleranza che si è scagliata contro ad una delle tante rappresentazioni della società in cui viviamo. Non tutti i cinepanettoni sono uguali. Nel corso dei decenni non hanno avuto la stessa capacità di tradurre con originalità quello che era stato il principio di quel genere cinematografico. Questo perché nel corso degli anni il ruolo del cinema si è indebolito con il dilagare, durante e dopo la pandemia in maniera particolarmente netta, delle piattaforme e di una forma alternativa di produzione di film e serie.
Dal mio punto di vista ritengo che quelle crociate siano state un errore grossolano di lettura dei processi. Quel filone cinematografico ha avuto successo di pubblico perché ha intercettato un sentimento di voglia di leggerezza che ha sempre caratterizzato ogni generazione. Quella produzione ha avuto l’intelligenza di cogliere la domanda del grande pubblico- rappresentata dalla semplice voglia di divertirsi- non spiegando però che quel grande pubblico al quale era destinato il prodotto era l’oggetto stesso che veniva ironicamente rappresentato. I cinepanettoni prendono in giro l’italiano seduto in poltrona che in quel momento sta ridendo di sé stesso senza neanche, a volte, accorgersene.
Oggi quel filone è andato perduto. Assistiamo a timidi tentativi di un format che ha finito la propria funzione, il cinepanettone è stato superato. Il mercato si è orientato verso altri prodotti che vedono le piattaforme fare le voce grossa. Quelle stesse piattaforme che hanno fatto impigrire il pubblico che ha rinunciato così anche all’esercizio del cinema. Perché lo chiamo esercizio? Perché al cinema c’è una sola pausa, l’intervallo, non si può usare lo smartphone e la luce dello schermo al buio ti costringe a tenere alta l’attenzione su quello che stai guardando. Niente a che vedere con il film sul divano che può essere interrotto in ogni momento. Il cinema ti costringe a vivere il presente perché se ti distrai non puoi tornare indietro, se hai perso la scena non la recuperi più. Non proprio una differenza da poco se pensiamo al grande dramma del livello calante della soglia di attenzione. Sarebbe cosa buona aprire un forte dibattito, ad ogni livello, su questo punto. Il ruolo che le sale cinematografiche possono ancora svolgere. Luoghi di presidio culturale e di educazione sociale. Il tutto difendendo anche quella leggerezza, che a volte, si può abbracciare senza tanti sensi di colpa.
Perché alla fine fa bene a tutti ridere di quel bel faccione simpatico di Christian De Sica che in Vacanze di Natale ‘83, con la bocca piena di fusilli urla: “dichiarare il secondo.”