Puntuale. Standing che si impone nel corridoio della sede della Camera del Lavoro, sede di Parma capoluogo. E’ serio, ma sorride. Stretta di mano decisa.
Sale per le scale come se pedalasse. Una, due, tre rampe. Fino al piano della Filt Cgil, la categoria di riferimento dei rider. Quelli che sfrecciano per le strade a fare consegne. Non solo delivery.
Entrano nelle case, ascoltano, consegnano. Parlano con le persone. In un tempo di relazioni sociali rarefatte e frammentate, fortemente condizionate dai media, che nuovi non sono più.
Eric Nkeng Defang di mestiere fa il rider.
Viene dal Camerun e parla un italiano con le vocali aperte a rallentare la corsa delle parole. Dopo tanti anni di Emilia, anzi di Parma, l’accento condizionato dalla cadenza locale è un malcelato vezzo. E’ di casa nella sede provinciale di vetro e cemento della Cgil. E’ un loro delegato, lavoratore dipendente dell’azienda che ha firmato l’accordo con i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil e ha tutelato i lavoratori-rider sotto l’egida del contratto collettivo nazionale Spedizioni merci, logistica e trasporti.
Fino ad allora ai rider erano riservate le collaborazioni occasionali. E, una volta raggiunto il limite di utilizzo, erano richieste la partita iva e l’accettazione di oneri e regole del lavoro autonomo. Lo ricorda, l’intervistato: “Eravamo costretti a una condizione lavorativa precaria, di sfruttamento. Siamo passati da un regime di incertezza e senza un contratto a una condizione di stabilità e di maggiori tutele”
Si comincia subito con il contratto? “Sicuro. Solo con il contratto.”, ribatte.
Una sola azienda in Italia ha contrattualizzato i rider? “Esattamente. E spero che gli altri lo facciano al più presto. Il contratto ha dato valore ai lavoratori. Per diversi di loro questo è il primo lavoro. E’ un messaggio importante di sicurezza e di legalità."
E’ un lavoro per giovani? “L’età media del gruppo di lavoro è bassa. E’ necessario avere resistenza fisica. Dobbiamo affrontare caldo e freddo. Lavorare sulla strada non è facile. E’ necessario essere fisicamente resistenti. Importante avere la certezza delle tutele”.
La stabilità ha permesso una organizzazione strutturata: “Ci siamo organizzati, con un ruoli definiti. Ci sono i rider e i gestori dei rider, cioè i capitani e il così detto dc, il district coordinator.”
In quanti, A Parma?
“In città, siamo in cinquanta a lavorare per questa azienda. Sono un rider, ma il mio ruolo ora è di capitano. Fra i miei compiti: la tutela della sicurezza sul lavoro dei colleghi: sono un supervisore dei diritti. Significa garantire l’uso corrente e corretto dei dispositivi di protezione individuale e controllare che tutte le regole vengano rispettate e che i mezzi di trasporto siano manutenuti. Non si può andare in giro senza casco, senza un abbigliamento adeguato ad esempio. Devo segnalare le mancanze, le criticità. Se qualcuno della squadra viene coinvolto in un incidente devo intervenire, comunicarlo. La stessa cosa vale per le malattie. Se un collega è indisposto non può entrare nelle case delle persone a fare le consegne e io devo informare il referente aziendale. E’ necessario permettere in modo equo a ciascuno di alternare riposo e lavoro.”, spiega l’intervistato.
Giovani di diversa provenienza: Africa, Asia, Europa: italiani e migranti. Un laboratorio plurietnico e multilingue. Con un ruolo non solo commerciale. “Il nostro è un lavoro di valenza sociale. Il rider è una sentinella sociale, a complemento della mansione indicata sul contratto.” Per il quale è necessaria una attitudine alla relazione. E conoscere e parlare la lingua italiana. Ma non tutti i rider parlano italiano. Fa eco il delegato Cgil: “A lungo la conoscenza della lingua italiana non ha rappresentato un criterio di selezione. Non era una pre-condizione per l’assunzione. Era sufficiente parlare inglese e capire le consegne e le indicazioni delle app. Si prediligeva la consegna alla relazione. La diffusione di questo lavoro ha risposto a un bisogno. Lo abbiamo capito. Con il diffondersi del servizio ci siamo resi conto di quanto fosse importante parlare con le persone, stabilire delle relazioni. Per questo motivo, in sinergia con Cgil incentiviamo i rider ad iscriversi ai corsi di lingua italiana presso il Cpia, il Centro permanente per l’istruzione degli adulti. Noi entriamo nelle case della gente. Non è sufficiente consegnare e andarsene. Le persone che incontriamo ci chiedono informazioni, parlano con noi. Una battuta sulla consegna, una parola di ringraziamento. Il lavoro è relazione.”
A Parma, sono tre i capitani e un district coordinator. Per la squadra di cinquanta persone. “Due capitani italiani più il sottoscritto. A noi è richiesta una familiarità alta con la lingua italiana. Dobbiamo rapportarci con i negozi, con le autorità in caso di incidenti e con le persone clienti nel caso di particolari esigenze di comunicazione. Al district coordinator è richiesta la doppia competenza linguistica: italiano e inglese. Una comunicazione professionale ed essenziale è fondamentale. Oltre a una attitudine alla relazione.”
Il principale criterio di selezione per fare questo lavoro? “Lavorare. Essere capaci di lavorare. Valgono le regole del lavoro: stare nel gruppo, comunicare, lavorare con serietà.”
Chi sono i vostri clienti? “Quelli che hanno difficoltà a muoversi da casa, soprattutto. Studenti impegnati a preparare esami, in corsa verso l’obiettivo. E persone impossibilitate a camminare per disabilità temporanea oppure permanente. Noi dobbiamo avere la delicatezza di capire la situazione nella velocità di uno scambio di battute. E cercare di trasmettere il calore di una parola di conforto che sia delicata e rispettosa della privacy familiare. Facciamo un servizio sociale. La lingua è lo strumento principale della relazione. Le persone ci aspettano. Noi suoniamo il campanello, entriamo nelle case e portiamo il cibo. Le persone non danno soldi a noi, ma pagano direttamente il fornitore. Non circolano soldi. E’ molto più sicuro per il rider. Che non rischia di essere aggredito per la strada. Per noi il servizio è un biglietto da visita dell’azienda, ma soprattutto del nostro lavoro. E’ importante per dare dignità al lavoro, ai lavoratori ma anche a chi riceve la consegna.”
Chi seleziona i rider? ”Candidature on line. L’azienda indica i criteri di selezione e le caratteristiche della mansione. Descrive il tipo di contratto: condizioni precise: diverse possibilità di orario a tempo parziale. Un contratto regolare. E’ una tutela per le persone.” Che permette loro di avere stabilità, autonomia economica, una casa. “Una casa!”: una scomposta ironia invade il racconto del delegato Cgil. “Beh, lasciamo stare. Un contratto di lavoro non sempre permette di avere una casa. Avere la casa è una questione molto seria. Difficile trovare una casa anche per chi ha una stabilità economica.”
Un problema attuale oppure una questione nota? “Dopo il Covid è più complicato. Non ho capito che cosa sia successo. Prima la casa la si trovava con maggiore facilità. Non in un batter d’occhio ma quasi. Ci sono difficoltà a trovare una casa in affitto anche quando si ha un lavoro, un contratto, uno stipendio normale.
Eric è ancora un rider oppure coordina e fa soprattutto il supervisore? “Faccio soprattutto il rider. Ho un’attenzione in più per il lavoro della squadra, per il mio ruolo di capitano.”
Quale strada ha portato il lavoratore Eric Nkeng Defang al lavoro di oggi? “Un percorso orientato all’autonomia. Da subito. Sono arrivato in questo Paese per studiare. Mi sono laureato lavorando. Nonostante il supporto economico della mia famiglia mi sono impegnato per raggiungere l’autonomia.”
Era il millenovecentonovantasei: ventotto anni fa: pochi gli immigrati a Parma. Il delegato ripercorre con la memoria il clima sociale della città: “Parma era molto più accogliente di adesso. La disponibilità sociale era diversa.”
Il primo lavoro? “Lavapiatti. Faticoso, ma un lavoro. Poi ho cominciato a fare volantinaggio. All’inizio come lavoratore dipendente. In poco tempo il titolare dell’attività sono diventato io. Assumevo persone che avevano bisogno di lavorare. Una piccola società: eravamo in sei e abbiamo lavorato per la grande distribuzione organizzata.”
Il profitto era sufficiente per sostenere il costo del lavoro? “Il guadagno ha consentito di pagare gli stipendi regolarmente. Ho fatto questo lavoro per diversi anni. Fino a che ha avuto un senso economico. Poi ho aperto una cooperativa insieme ad alcuni colleghi, sei italiani e quattro persone provenienti dall’Africa. Insieme abbiamo gestito un call center e diversi altri servizi. Abbiamo lavorato fino a che la società ha avuto possibilità commerciali. Il mercato del lavoro evolve.”
Rispetto ad oggi l’Italia degli anni Novanta è molto cambiata. La migrazione è diventata un fenomeno strutturale. “Non mi aspettavo arrivassero così tante persone. Hanno bisogno di essere accompagnate. Solo due settimane fa proprio qui, nella casa del lavoro, abbiamo organizzato un incontro dedicato alla lettura della busta paga. Il salone era pieno di persone. I migranti hanno bisogno di uno spazio per esprimersi. Per sentirsi accolti. E’ necessario mandare un messaggio di legalità, di sicurezza. Il lavoro rappresenta un punto di inizio importante per il radicamento, per la vita qui. E anche per un possibile ritorno nel proprio Paese, dopo una esperienza in Europa. E’ importante mantenere una visione ampia del mondo.”
Le migrazioni non sono di solo andata. Qualche volta si decide di ritornare. “L’Europa è una bella scuola. Molte delle persone migranti che conosco vorrebbero tornare nel loro Paese d’origine, se fosse possibile vivere in modo migliore. Non è così facile vivere qui, oggi. Dell’Italia mi preoccupa la piega che sta prendendo in questo momento. Non si sente più il calore di benvenuto. Alle persone che arrivano dagli altri Paesi suggerisco di venire alla Cgil e di considerarla come una agenzia sociale che orienta e aiuta. Questa è la casa dei lavoratori. ”
Del Camerun che cosa manca a Eric Nkeng Defang? “Quando uno nasce, cresce con degli odori precisi. E’ una cosa molto importante. Sono gli odori che ti dà la vita. Io vengo da una zona di foresta. Ci sono uccelli, piante. Quando vado in Camerun vado a cercare questo. Si chiamava Victoria. Oggi si chiama Limbe. Un posto speciale. E’ la terra più bella del mondo.”