Una passione, quella per la corsa, che per Nicoletta è nata per caso dopo i 40 anni. Ma da quel momento non l’ha più lasciata portandola a partecipare alle maratone estreme in diversi deserti del mondo. L’abbiamo incontrata per farci raccontare la sua storia.
Nicoletta, la corsa non è il tuo lavoro principale, ma un hobby…
Si, infatti lavoro nella Polizia Municipale a Carrara. Sono laureata in economia, dopo dieci anni in un importante Istituto Bancario, ho vinto un concorso. La mia passione è nata dopo i 40 anni, cominciando, come molti, a fare qualche corsetta per rimettersi in forma. Subito ho avuto grandi difficoltà, il fiatone e non riuscivo a resistere per più di 3-5 km. Mi hanno sempre fatto invidia tutti quei corridori che con scioltezza riuscivano a fare lunghe distanze e quindi ho cercato di migliorarmi. Mi sono rivolta ad un preparatore atletico di Carrara, Paolo Barghini, un ex campione di maratone estreme nel deserto e gli ho chiesto se poteva prepararmi una tabella di allenamento semplice, non mi interessava fare competizioni, ma solo migliorarmi e correre senza fare troppa fatica. Quando mi ha consegnato la prima tabella di allenamento, mi ha detto: ”Domenica vai a correre 10 km”. Ho risposto che per me era impossibile perché non riuscivo a fare più di 3 km. Paolo ha risposto: ”Non ti preoccupare, domenica vai a fare 10 km, come vuoi tu, un po' a piedi e un po' di corsa, ma cerca di portare a termine la tabella”. Ho misurato il percorso con lo scooter, 5 km andata e ritorno, in modo che fossi costretta una volta arrivata ai 5 km di dover tornare indietro. Avevo avvisato i famigliari di venirmi a cercare se non mi avessero visto entro due ore. Invece, con mia grande sorpresa, ho fatto tutti i 10 km di corsa, un po' lenta e un po' veloce. Mi si è aperto quindi un mondo. Ora sorrido perché i 10 km li faccio per il riscaldamento. In quel momento qualcosa mi è scattato nella mente, ho iniziato a seguire le tabelle vedendo che era possibile fare delle distanze più lunghe e ho cominciato ad allenarmi.
Come è nata questa tua grande passione?
Dopo alcuni mesi ho partecipato alla prima mezza maratona, e dopo sei mesi Paolo Bardini mi ha proposto di fare la maratona. Io la trovavo una cosa assurda, ma lui mi disse di fidarmi e che se avessi fatto la maratona mi avrebbe cambiato la vita. E in effetti ho fatto questa esperienza incredibile, dopo i 30 km si entra in una fase che chiamano “il muro” e che si supera con una grande concentrazione mentale totale per trovar dentro di sé tutte le risorse e forze per mettere una gamba davanti all’altra perché non ne hai più, negli ultimi chilometri nessuno ha più niente da spendere e quindi va avanti con la forza di volontà.
Piano piano hai incominciato anche a partecipare a competizioni internazionali…
Finita la maratona ho continuato su questa strada, sempre con la vocina che mi avvicinava alle gare più estreme, sentendo anche racconti incredibili da coloro che vi avevano partecipato. A me la parte competitiva non interessava, ma solo la corsa da abbinare ad un viaggio, alla conoscenza e alla scoperta di contesti particolari. Quindi, incuriosita, ho deciso di buttarmi anche io in questa esperienza, dove ho dovuto non solo allenarmi fisicamente, ma anche fare tutto un lavoro per preparare lo zaino da portare via, le cose da mangiare, studiarle, capire quanto fossero nutrienti, che pesassero poco, che fossero buone e, insomma, sono arrivata a fare queste competizioni internazionali.
Dopo la prima maratona nel 2014, ne sono seguite altre. Quindi ho fatto la Maratona di Edimburgo, Barcellona, in Italia in diversi luoghi. Poi mi è venuta la voglia di utilizzare sempre di più la corsa come strumento per poter conoscere luoghi e fare esperienze diverse. Quindi ho iniziato gli allenamenti per fare le maratone estreme. Allenamenti più duri, correre sulla spiaggia con lo zaino o in ambienti impervi, tante salite e alla fine nel 2018, in primavera, sono andata in India a fare la maratona in autosufficienza di 150 km nel deserto del Thar in Rajasthan, un’esperienza incredibile, perché questo deserto in qualche punto è anche abitato. Quindi mentre si correva in mezzo al nulla, all’improvviso ci si trovava in un piccolo villaggio con capanne di fango e tetti di paglia, dove vivevano piccoli nuclei familiari: immaginate lo stupore al passaggio mio e degli altri concorrenti. I bambini che ci correvano intorno, incuriositi da tutte le cose che avevamo, un’esperienza molto bella, ma dura e faticosa.
Come si svolgono le competizioni in autosufficienza?
Le gare in autosufficienza sono dei percorsi a tappe dove bisogna avere tutto il necessario per la settimana nello zaino: pasti per sei giorni, pochi vestiti, il coltellino, il sacco a pelo per dormire la notte nel deserto dove viene freddo. Soprattutto in India, siccome ci sono gli scorpioni sotto la sabbia, bisognava avere anche un kit di sopravvivenza, con una pompetta per aspirare il veleno dello scorpione nel caso venissimo punti. Durante le gare ogni 10 km c’è uno staff di assistenza che fornisce l’acqua, un litro e mezzo ogni 10 km. L’acqua è razionata, non più di 5 o 6 litri al giorno, viene usata quasi tutta per bere e pochissima per darsi una rinfrescata finita la tappa giornaliera, dove ci si ferma nel deserto a dormire. Si rimane per sei giorni continuativamente sotto il sole martellante sulla testa e, quando tramonta, diventa freddo. Quindi una condizione faticosa che non lascia tregua al fisico.
La scelta del cibo è stata forse la cosa più complicata da fare, perché non potevo sbagliare: dovevo avere del cibo che fosse fortemente calorico, nutriente, trasportabile, leggero, perché sei pasti iniziano ad essere un bel peso, più lo zaino è pesante e più diventa faticoso. Quindi ho passato i mesi al supermercato a leggere le etichette per vedere le calorie e le varie combinazioni e alla fine dopo tante prove, mi sono confezionata dei pasti da sola che ho messo sottovuoto. In gran parte erano costituiti da polenta, con olio e parmigiano e carne in polvere. Non da gourmet, ma piacevoli da mangiare, sostanziosi e poco pesanti.
Che cosa ti colpisce di più durante i tuoi percorsi?
Quello che più mi piace di queste esperienze è che partecipano persone che vengono da tutto il mondo e di tutte le età, dal ventenne all’ottantenne: l’anno scorso in Georgia nel Caucaso c’era un atleta giapponese di 79 anni. Tutte persone che lo fanno per hobby e passione e quindi con grande determinazione. Persone che riescono a vedere oltre l’ostacolo e la fatica, un grande scambio di esperienze, di culture, anche di visione positiva su tutto. Bisogna andare sicuramente senza pensieri e stress, concentrati solo su sé stessi e su cosa siamo in grado di fare. Ogni volta ognuno di noi scopre un pezzettino in più di sé stesso perché bisogna scavarsi dentro per trovare le energie, per sconfiggere le eventuali paure, sempre con spirito propositivo e positivo. Un’altra cosa che mi stupisce sempre è quanto l’Italia sia andata nel mondo: spesso in questi posti sperduti le persone mi chiedono da dove vengo e quando rispondo che sono italiana gli si illuminano gli occhi. Tutti sono innamorati dell’Italia, anche se non ci sono mai stati e lo vedono un po' come un paradiso. Questo mi inorgoglisce molto.
Ti racconto un aneddoto divertente. Quando sono stata in Iran nel 2019, finita la gara dovevo tornare a Teheran per prendere l’aereo e l’autista del taxi mi ha abbandonata davanti alla gigantesca stazione degli autobus, mi ha fatto lui il biglietto, perché non si riusciva a capire nulla. Aggirandomi senza capire che autobus avrei dovuto prendere, ho cominciato a imprecare a bassa voce. Mi si avvicina un vecchietto iraniano e mi dice: “Sei italiana?” e io “Si!” e lui “Mastroianni, Sofia Loren”, le uniche parole che sapeva in italiano. Poi mi ha fatto sedere, ha guardato il mio biglietto e mi ha aiutata a capire che bus dovevo prendere. Questo un esempio di come tutti conoscano qualcosa dell’Italia e di come sia vista nel mondo, questo mi dà sempre tanto orgoglio.
Hai ricordi e emozioni che ti sono rimasti nel cuore?
Dentro di me porto indubbiamente l’Iran perché è un paese bellissimo, le persone sono stupende, accoglienti, sono molto simili a noi come carattere, vivono in una situazione assurda perché hanno uno stato che li copre di regole, che loro trasgrediscono quotidianamente, ma sempre in maniera pacifica. Le donne portano il velo, va bene, ma sempre con una ciocca di capelli che esce fuori, come una piccola protesta. Ci sono stata quattro volte, l’ultima l’ottobre scorso, dove ho partecipato alla “Iranian City Crowd Marathon” e sono arrivata ottava assoluta e dove ho potuto correre con queste donne, fatto per loro assolutamente non banale. Alle donne è vietato fare sport. Si allenano di nascosto, aiutate dai loro mariti e fratelli, corrono in casa, di notte, in posti nascosti, per loro ha un significato incredibile poter partecipare a questa gara che è l’unica nel paese in cui, per motivi logistici, possono correre insieme uomini e donne. In tutte le altre occasioni le donne sono sempre separate, in spiaggia, nei locali, negli alberghi. Ho potuto condividere con loro queste giornate, fare amicizia, parlare di tante cose e il fatto di essere li per loro è stato importante, anche farsi le foto con me. Dà a loro una piccola speranza, un segno per andare avanti sulla loro strada, nella battaglia che fanno quotidianamente in maniera assolutamente pacifica. Il paese è stupendo, consiglio a tutti di andare una volta nella vita a visitarlo. Io tornerò il prima possibile.
Oggi, 23 settembre, ritirerai il premio EMWD Donna Leader, che cosa provi?
Quando mi è stato comunicato che ero una delle premiate del prestigioso Premio Donna Leader European Women’s Management Development, è stata una grande gioia e sono rimasta incredula, perché è un premio riconosciuto a donne che si distinguono in carriere lavorative importanti e nella ricerca. Io porto avanti solo una passione, che sicuramente richiede impegno. Quindi grande stupore, felicità e comunque grande orgoglio perché mi dà l’opportunità di far conoscere il mondo sportivo amatoriale delle donne e anche portare avanti un messaggio che è quello legato alla mia esperienza iniziata in tarda età, quindi uno sprone per tutti di non lasciare mai nel cassetto un sogno. Non è mai troppo tardi per realizzarlo, se si vuole fare davvero, si riesce ad incastrare l’impegno in mezzo alle cose quotidiane del lavoro e della famiglia e si può realizzare quello che si vuole fare. Basta crederci nelle cose e queste vengono da sole. Sono veramente orgogliosa ed onorata e credo in qualche maniera di non meritarlo questo premio, ma sono veramente contenta.