Giovedì 13 gennaio in alcune località dell’Appennino, che interessano anche la provincia della Spezia, è stato il giorno di una festa antica, un tempo ben radicata nell’animo popolare. Si tratta della festa del “tredicino” (a Varese Ligure detta del “trezén”, a Gotra, sul versante valtarese del monte Gottero, del “tresendì”).
In questa circostanza, quasi in un anticipo del Carnevale non più tanto lontano, era consuetudine fare festa tra amici, di fronte a una tavola imbandita. Sempre a Varese Ligure e nei suoi dintorni dell’alta Val di Vara, ad esempio, quelle tavolate erano allietate da vino nuovo, da focacce di pan martin (il pane confezionato con la farina di castagne, anch’essa nuova) e ancora da frittelle o dal dolce chiamato buccellato (in dialetto “busciolan”).
Non molto diverse erano, e in parte sono ancora le consuetudini di Gotra, che oggi, pur in provincia di Parma, appartiene alla diocesi di Massa Carrara - Pontremoli, ma che sino al 1855 aveva fatto parte di Brugnato, in quanto fondazione antichissima dei monaci colombaniani, detta “in Placentino”.
L’aspetto curioso di questa tradizione popolare, che sembra perdersi nella notte dei tempi, è che il clima culturale “secolarizzato” del nostro tempo - ben rappresentato da alcune pagine internet - fatica a darle una spiegazione, finendo per ricercarne origini assai improbabili, persino di carattere astrologico: ad esempio lo “studio” dei primi tredici giorni dell’anno come segno di buono o di cattivo augurio nella coltivazione del campo (e del bosco), o ancora il collegamento con i giorni “saltati” nel 1582 con il passaggio dal calendario giuliano a quello gregoriano. Che in realtà però furono undici, e non tredici.
Ferme restando le sovrapposizioni popolari, sempre possibili in casi del genere, e che sembrano unire insieme le popolazioni di una “regione”, quella del monte Gottero, oggi ripartita tra tre diverse regioni civili (Liguria, Emilia Romagna, Toscana), la spiegazione storica è in realtà molto più semplice, ed è di storia ecclesiastica. Prima della riforma del calendario liturgico del 1962, infatti, il giorno tredici gennaio altro non era che l’ottava dell’Epifania, festa di seconda classe che disponeva, nel messale di san Pio V, di un proprio specifico formulario. Tale festa, cancellata solo nel caso che il 13 cadesse in domenica, perché allora sostituita dalla festa della Sacra Famiglia (“Domenica nell’ottava dell’Epifania”), rappresentava il giorno conclusivo del tempo liturgico di Natale. Cessava il colore bianco dei paramenti, sostituito dalla domenica successiva con il colore verde.(oggi “tempo ordinario”). Sin dall’ottavo secolo, in seguito a quello che gli storici della liturgia chiamano un “compromesso fra la liturgia romana e la liturgia gallicana” (ovvero francese), come Vangelo della Messa dell’ottava si leggeva il brano di Giovanni sul battesimo di Gesù nel fiume Giordano: questo particolare ha aperto la strada, con il messale del 1962, alla sostituzione dell’ottava dell’Epifania con la festa, sempre di seconda classe, del Battesimo del Signore, festa infine trasferita, con il messale attuale, alla domenica dopo l’Epifania (domenica scorsa).
La tradizione del “tredicino”, dunque, non è né astrologica né astronomica: è, come tante, di diretta derivazione liturgica e rappresenta, dopo il periodo delle feste natalizie, il ritorno all’attività ordinaria che era allora quella della vita dei campi e dell’artigianato.
(Testo: Egidio Banti)