Sta facendo molto discutere, in questi giorni, la “nota verbale” con la quale la Segreteria di Stato vaticana ha segnalato al governo italiano alcuni profili di possibile contrasto con le norme del Concordato in materia di libertà di espressione e di esercizio del culto qualora il disegno di legge Zan venisse approvato dal Parlamento nel testo attuale.
Alcuni hanno parlato persino di “ingerenze” del Vaticano nella vita e nelle regole dello Stato italiano. In realtà la Chiesa cattolica ha sempre difeso, tanto più da quando è in vigore il regime concordatario, il pieno diritto del clero e della comunità cristiana ad esprimere il proprio pensiero anche su materie controverse e su leggi contrastate. Vale dunque la pena ricordare che proprio il tribunale della Spezia pronunciò in questa materia, il 26 gennaio 1979, un’importante sentenza che mandava assolti quattro parroci cittadini accusati (e condannati in primo grado dal pretore) per aver affisso all’interno delle proprie chiese dei manifesti contrari al divorzio, argomento allora oggetto (si era nel 1974) di un acceso confronto referendario.
I quattro parroci erano Mario Giusti della cattedrale di Cristo Re, Alessandro Guastavino della Chiappa, Dino Viviani di Santa Maria Assunta e Bernardino Olivieri di Mazzetta. Il manifesto da loro affisso altro non era che il testo di un documento dei vescovi liguri sul tema del divorzio. Il pretore Maestri li aveva condannati, senza condizionale, per violazione delle leggi elettorali vigenti.
A loro difesa si alzò a parlare in tribunale il professor Pietro D’Avack, uno dei massimi esperti di diritto canonico. La pagina di “Spezia 7” della domenica seguente, così riportava alcuni passi della sua arringa: “Questo processo chiama in causa i supremi principi di libertà sanciti dal nostro ordinamento giuridico... La sentenza di primo grado quei principi li ha invece lesi nei confronti dei quattro parroci sia come uomini (tutelati quindi dai fondamentali diritti dell’uomo) sia come cittadini italiani (tutelati quindi dalla Costituzione) sia infine come ministri del culto (tutelati dal Concordato e dalla sua rilevanza costituzionale)”.
Il tribunale spezzino - presidente Bracco, giudice estensore Di Martino - accolse in pieno le conclusioni di D’Avack, mandando assolti i quattro sacerdoti con formula piena. La questione finì lì, perché non ci furono ulteriori appelli in Cassazione, ma è chiaro che, sia pure su fattispecie legislative diverse, vicende analoghe potrebbero sempre ripetersi, coinvolgendo sia sacerdoti sia fedeli laici, singoli o comunitariamente associati.
Si possono dunque comprendere le legittime preoccupazioni della Santa Sede, così come quelle della Conferenza episcopale italiana, affinché nessuna nuova legge possa indurre a riproporre scenari indubbiamente anacronistici di un contrasto che, come disse persino l’on. Togliatti annunciando in Costituente il voto favorevole del Pci al Concordato in Costituzione, “turberebbe la coscienza di molti cittadini”. Senza, si potrebbe aggiungere, che se ne senta oggi il bisogno.
testo di Egidio Banti