Riceviamo e pubblichiamo il ricordo di Pietro Cavallini, scritto dall'ex sindaco della Spezia Giorgio Pagano:
"Con Pietro Cavallini se ne va un simbolo del socialismo spezzino. C’era, in lui, l’orgoglio della parola socialismo, la più antica parola della politica in Italia, che esprime i concetti di eguaglianza e di libertà. Come scrisse Vittorio Foa, nella storia del socialismo, nonostante compromissioni ed errori, “c’è qualche cosa che non muore, che resta, ed è il libertarismo dentro a una dimensione collettiva”.
Pietro ha attraversato tutte le tappe di questa storia dal dopoguerra: assessore socialista, dal 1951, nella Giunta di sinistra con Varese Antoni Sindaco, poi impegnato nel circolo antistalinista Croce-Gramsci, quindi propugnatore dell’alleanza di centrosinistra con la DC -in quella fase fu segretario provinciale del PSI, poi Capogruppo in Consiglio Comunale-, infine protagonista del ritorno all’alleanza con il PCI. Era un politico rigoroso. Nel libro “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia”, racconta cosa significava allora fare il Consigliere comunale: “Studiavo molto. Un intervento di quindici minuti presupponeva quattro ore di studio”.
In questa storia Pietro ha lasciato un segno soprattutto in campo educativo e sociale, come maestro e Direttore Didattico, poi come fondatore della Cooperativa Cis e della Fattoria Biologico-Didattica del Carpanedo. I ragazzi “rivoluzionari” del Sessantotto conobbero una città che, dal punto di vista pedagogico, era all’avanguardia, grazie a Pietro e a personalità come Cesare Godano e Luigia Rosaia: il tempo pieno, la “scuola aperta”, l’inserimento di quelli che allora si chiamavano handicappati. Ecco il ricordo, nel libro, di Antonio Franciosi, giovane maestro della scuola elementare di Fossitermi, di cui Pietro era Direttore:
“Fu un’esperienza entusiasmante. Al mattino c’erano gli insegnanti di ruolo, al pomeriggio gli sperimentatori, scelti dal Direttore. C’erano le rotazioni tra noi: non c’era più il maestro unico. Cominciammo a inserire gli handicappati, che allora erano a Gaggiola, nelle scuole differenziali. Si facevano i laboratori... Cercavamo di fare una scuola diversa, una scuola viva, attiva, in cui anche il bambino imparava a sperimentare. Avevamo una tipografia, un laboratorio di fotografia, uno di teatro... I genitori si dividevano tra favorevoli e contrari. I conservatori volevano la scuola tradizionale: scrivere, fare i conti, il dettato, il riassunto. Noi insegnavamo anche a criticare, e questo faceva paura. C’era chi, tra i genitori, era contrario all’inserimento degli handicappati: temevano che impedisse ai loro figli di studiare, invece aveva un grande valore educativo, perché i bambini imparavano a convivere con la diversità.”
Fu davvero un “riformismo rivoluzionario”.
Lo fu anche in seguito, quando collaborammo lungo i 15 anni della mia vita amministrativa. Pietro era un vulcano, la sua creatività e tenacia mi contagiarono nelle tante avventure comuni, ai bei tempi del Carpanedo.
Pietro accostava l’etica socialista a quella cristiana, unite dalla solidarietà e dalla fratellanza. Ma mi piace ricordare che ogni anno organizzavamo la Festa degli alberi. In lui c’era anche l’etica ecologista: spiegava ai ragazzi che l’anidride carbonica si sottrae all’atmosfera con l’unica cosa in grado di farlo: gli alberi. Non sarà molto tecnologico, ma state certi che ha sempre funzionato e funzionerà.
Pietro non esprime una storia finita. I segni di questa storia sono difficili da cancellare, ci riguardano e ci parlano ancora".