Professor Lucchi, può raccontare ai nostri lettori il suo percorso accademico e le sue esperienze professionali?
Mi piace considerarmi un prodotto della Scuola Chirurgica Pisana, mi sono infatti laureato, specializzato e poi perfezionato all'Università di Pisa sotto la guida del Professor Angeletti. Mi interesso di chirurgia oncologica avanzata per quel che riguarda i tumori polmonari, pleurici e mediastinici e anche l’attività oncologica assorbe buona parte del mio impegno assistenziale e di ricerca.
La sua attività si rivolge prevalentemente ai cittadini pisani?
Direi di no in quanto si tratta di una chirurgia specialistica che si rivolge ai cittadini pisani, a ai pazienti regionali e extraregionali, da tutta Italia.
Come è cambiata la sua attività nell’era del Covid-19?
L'epidemia di Covid-19 ha cambiato radicalmente quelli che erano i paradigmi di cura di tutte le malattie in ambito ospedaliero, dei pazienti oncologici e dei tumori polmonari in tutta Italia. In particolare all’interno dell’Ospedale di Pisa, dovendo dedicare cospicue risorse alle cure dei pazienti Covid positivi e dovendo considerare tutti i pazienti come potenzialmente Covid positivi al loro ingresso in ospedale, abbiamo dovuto ridurre l'attività ai minimi essenziali. L’attività oncologica deve essere chiaramente preservata, ma va da sé che i pazienti oncologici, che a noi si riferiscono, hanno ora maggiori difficoltà sia per la fase diagnostica che per il trattamento chirurgico qualora necessario.
Come state gestendo l’emergenza? Le strutture ospedaliere pisane sono abbastanza attrezzate per curare tutti?
Mi pare che a Pisa sia stato fatto un grande lavoro in termini di programmazione e di messa in opera di un ospedale Covid che avesse posti letto di degenza e posti letto di terapia intensiva adeguati per lo “tsunami” che avrebbe potuto verificarsi. La struttura finora ha retto benissimo il flusso di pazienti Covid e l'attività ordinaria per le comuni patologie, che ovviamente comunque continuano a esserci, si è tuttavia molto ridotta proprio per permettere alla struttura di coprire eventuali richieste eccezionali.
Ci può dire che cosa significa avere un tumore del polmone in questo periodo?
Avere un tumore polmonare oggi è purtroppo molto più complicato. I pazienti conoscono l’aggressività della malattia e la necessità di un trattamento precoce, in questo momento in cui tutto il sistema sanitario, tutto il paese, è impegnato in questa emergenza, sono pazienti che soffrono maggiormente la solitudine del loro dramma e non possono avere le risposte e gli interventi rapidi che si attenderebbero.
Questa emergenza avrà conseguenze e ritardi per quel che riguarda la cura e gli interventi chirurgici per tumori?
Purtroppo nella fase acuta dell’emergenza, con la necessità di creare un ospedale Covid, gli spazi e le risorse si sono contratte. Tutte le indagini diagnostiche e le procedure chirurgiche si sono ridotte. In questa prima fase qualche ritardo è stato quindi inevitabile, ora si tratta di recuperare, lavorando sull’ottimizzazione delle risorse.
Le protezioni che state adottando garantiscono voi sanitari e i pazienti che trattate?
Il personale sanitario deve essere preservato dall’infezione per garantire le migliori cure ai pazienti. Anche su questo abbiamo lavorato e stiamo lavorando. Non avevamo all’inizio una conoscenza adeguata dell’infezione e dei meccanismi più idonei di protezione. Progressivamente abbiamo adeguato le procedure e i dispositivi necessari per garantire i sanitari e i pazienti. Nell’immediato e nel lungo periodo i dispositivi devono comunque essere aumentati sia per volume che per qualità; i mezzi ci sono, si tratta di assimilarli.
È ottimista riguardo la formulazione di un vaccino disponibile in tempi relativamente brevi?
Il vaccino è l’unica soluzione a cui tutta la comunità scientifica sta guardando. Temo che i tempi non saranno brevi, ma su questo argomento ci sono sicuramente professionisti con esperienze specifiche maggiori delle mie.
La sua vita in questi giorni si svolge in corsia in condizioni estreme. C’è qualche immagine o evento che non avrebbe mai immaginato di vedere e che l’ha colpita più di tutti?
Certamente dopo questa emergenza la vita di un chirurgo, come quella di tutti i sanitari, non sarà più la stessa. Per professione siamo abituati alla sofferenza e alla morte, ma questa epidemia li ha sicuramente acuiti per la solitudine dei pazienti.
Mi spiego meglio: sia nel caso di un soggetto Covid positivo, sia in quello di un paziente Covid negativo, in questo momento i pazienti sono elementi ancora più fragili e soli. Non hanno i familiari accanto e anche noi sanitari non possiamo esercitare la nostra “umanità”, che avviene anche attraverso il contatto fisico. Proprio questo aspetto, certamente non secondario, è stato stravolto dall’emergenza e le immagini dei pazienti soli, spaventati e annullati dagli eventi, rimarrà per sempre nella nostra mente.
Professore sia sincero, come ricominceremo?
Ricominceremo consapevoli di quello che è successo e con una organizzazione diversa e migliore. Anche in ambito sanitario e chirurgico dobbiamo pensare alla fase 2 e alla fase 3. Non dobbiamo permettere al coronavirus anche danni e morti collaterali, dobbiamo in sintesi lavorare di più e meglio. Un aspetto che mi conforta, e mi fa guardare al futuro con speranza, è che tutti percepiamo che ne usciremo soltanto se stiamo uniti. Medici e sanitari tutti sono stati rivalutati da questa situazione, non perché ”eroi” ma perché la gente ha toccato con mano anche il coraggio della nostra vocazione e spero in futuro ascolti con più attenzione le nostre preoccupazioni e sofferenze. Il Sistema sanitario nazionale ha bisogno di noi e noi tutti abbiamo bisogno di più Sistema sanitario nazionale.
In chiusura: ormai sono tanti anni che vive lontano dalla sua Spezia, quali sono i ricordi più piacevoli della sua città natale?
Il momento che stiamo vivendo ci porta inevitabilmente a ricordi nostalgici, io sono spezzino dentro, sono una specie di cozza (io la chiamo ancora muscolo) attaccata allo scoglio. Alla Spezia ho i miei genitori, mia sorella, tanti amici che derivano dalle scuole elementari fatte al Canaletto e dal periodo del liceo Scientifico “Pacinotti”. Mi mancano tante cose della Spezia: il profumo del mare e le serate in compagnia a Lerici e Portovenere. Rimanendo nel breve periodo vorrei come tutti che l’emergenza finisse e potessi tornare alla Spezia ad abbracciare parenti ed amici.