Secondo uno studio del Senato, le somme non dichiarate al fisco ammontano a 132,1 miliardi. L’evasione Irpef è di 38 miliardi, il doppio rispetto agli anni precedenti: a evadere sono i lavoratori autonomi e chi può contare sulle rendite degli affitti. Un tema rimosso dalla politica, che promette solo di tagliare le tasse. In effetti il nervo è scoperto: l’Italia è il settimo Paese d’Europa per pressione fiscale. Ma il punto è: chi paga le tasse?
Lo studio del Senato e uno dell’”Espresso” spiegano che la distribuzione del peso delle tasse è molto cambiata. Nel 2008, tra Ires e Irap le imprese avevano pagato imposte per 79,9 md; nel 2016 il gettito è sceso a 51,1 md, 28 in meno. Un crollo solo in parte dovuto alla crisi: i governi Letta, Renzi e Gentiloni hanno infatti ridotto le aliquote Irap e Ires e introdotto altre misure analoghe. Tra le voci dello stesso periodo di tempo sono al contrario aumentate le tasse sulle famiglie, Irpef in testa: 11,7 md in più, nonostante l’evasione. Addossare ai redditi da lavoro gran parte del compito di alimentare il gettito fiscale è ingiusto e aumenta il costo del lavoro, danneggiando sia i lavoratori che gli imprenditori. Va aggiunto che molte fonti di reddito sono state escluse dall’Irpef e assoggettate a trattenute più lievi, con minori entrate di 9,5 md l’anno. E che ogni anno circa 600 md vengono trasferiti nei paradisi fiscali dalle multinazionali: in Italia ci costa 7 md l’anno.
L’evasione e queste misure hanno ridotto il grado di progressività del sistema di prelievo sui redditi: l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, è sempre più inattuato. Non solo: il fisco amico dei ricchi riduce le risorse per gli investimenti e il welfare e non crea occupazione. Ce l’ha insegnato l’esperienza del Presidente americano G.W. Bush, che tagliò in due trance di 1205 miliardi di dollari le tasse ai ricchi, senza che tanta generosità si traducesse in alcun modo in occupazione. I ricchi -ha scritto l’economista James Galbraith- “hanno risposto punteggiando il paesaggio di case signorili”. Hanno cioè investito nella rendita e nel lusso.
Con le risorse dell’evasione, degli incentivi e degli sgravi si potrebbe finanziare un grande progetto per uscire dalla crisi. Che sia basato su piani di investimenti pubblici che creino occupazione superando la bassa qualità e ammodernando la nostra struttura produttiva: per esempio investimenti sulla manutenzione del territorio e delle case, due grandi emergenze del Paese. Ma le politiche keynesiane non basterebbero perché non assorbirebbero tutta la disoccupazione. In un mondo in cui il lavoro è diventato innanzitutto precario, in cui cresce l’esclusione sociale, in cui per accedere all'istruzione e alla salute bisogna passare per il mercato, serve un nuovo welfare: la sua misura chiave è il reddito “di dignità”, rivolto a tutti gli individui poveri e precari.
Senza un progetto alternativo, credibile e convincente, le politiche neoliberiste basate sui tagli alle tasse rimarranno l’unico miraggio a cui si aggrapperà anche la povera gente. A meno che non diventi preda dei risorgenti fascismi. Elaborare questo progetto dovrebbe essere “il” tema della sinistra, che oggi o è radicale o non è. Sinonimo di radicale non è estremista, ma profondo: una politica che non si limiti alla gestione dell’esistente, perché ciò ha svuotato la sinistra della sua funzione storica e l’ha condotta al declino. Altrimenti l’alternativa a Berlusconi-Salvini, a Renzi e ai fascismi sarà il M5S, l’unico anticorpo, pur mediocre che sia, che il Paese è riuscito finora a secernere.
Giorgio Pagano
Cooperante, già Sindaco della Spezia