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Il civismo di pochi, le aspettative di molti In evidenza

Luca Erba nell’uscita del suo editoriale della domenica analizza l’impatto che la società civile ha nelle istituzioni.

Non è semplice trovare una data che segni il punto di non ritorno, l’anno della crisi dell’impegno civile per la cosa pubblica, il momento nel quale ci si è resi conto che la “spinta” civica ha abbandonato il terreno del confronto e della discussione politica. Non è semplice perché probabilmente una data non c’è. Non possiamo segnare sul calendario un giorno, un mese o un anno. Non esiste un evento traumatico, esiste un lento e inesorabile declino.

Assistiamo oggi, impotenti e spaesati, al depauperamento di tutte quelle “sacche” che nel paese hanno rappresentato una riserva culturale di elaborazione e visione in grado di amalgamarsi con le istituzioni e la politica dando il segno di una partecipazione, alla cosa pubblica, che faceva della qualità un punto in evidenza. Docenti, scienziati, filosofi, lavoratori (potrei continuare per ore) che nel corso della storia repubblicana hanno contribuito a dare idee e soluzioni ai problemi del paese. Riserve culturali che hanno anche partecipato attivamente alla vita politica delle istituzioni (gli indipendenti) componendo un mosaico che rendeva le istituzioni un quadro armonico e il più possibile rappresentativo dell’intero corpo sociale del paese. L’impegno per la cosa pubblica riguardava tutti i settori della società.

Il declino al quale stiamo assistendo certifica che i luoghi della discussione si sono spostati altrove. Non voglio però neanche cadere nella trappola della mitizzazione o della semplificazione. Non può sfuggire il fatto che i meccanismi di decisione o di selezione della classe dirigente (comprese le candidature a tutti i livelli) non fossero saldamento ed esclusivamente in mano ai partiti. Sostenere oggi che la partecipazione attiva alla discussione e alla vita politica della propria comunità certificasse allora, in qualche modo, la possibilità di scegliere la linea politica o le candidature, sarebbe cosa falsa e del tutto fuorviante, sostenere che la qualità della classe dirigente fosse condizionata dalla vitalità dei settori attivi della società è invece assolutamente corretto.

Gli ambiti decisionali sono sempre stati in capo ai partiti, chiusi all’interno di un gruppo dirigente ristretto. La differenza con la storia di oggi, e quella che ha costituito i decenni repubblicani alle nostre spalle, sta proprio nel fatto che le istituzioni erano realmente il luogo delle decisioni e le istanze che arrivavano da “fuori” avevano la forza di condizionare le forze politiche. C’era una felice commistione tra politica e cittadini, tra eletto ed elettore, tra rappresentante e rappresentato.

C’era passione civile, una passione civile anche interessata, perché c’era la consapevolezza su quale fosse il luogo delle decisioni. Le istituzioni rappresentavano così anche un luogo di interesse reale, un ambito nel quale poter vedere rappresentate istanze, un contesto nel quale i più deboli avevano la possibilità di poter vedere accolte le proprie richieste. La politica aveva la funzione di occuparsi di chi non aveva diritti, delle minoranze silenziose, delle strategie per la crescita economica e la creazione di servizi per le persone. Si pensi alla sanità piuttosto che al modello di welfare costruito nel nostro paese.

Oggi possiamo dire la stessa cosa? Non voglio abbandonarmi a facili conclusioni o inchinarmi ai malpancisti da salotto. Non si può però non constatare che siamo dentro una crisi profonda di sistema. Possiamo sostenere, per fare solo un esempio, che oggi ci sia quella commistione tra gruppi dirigenti e mondo accademico? Sempre per restare ai giorni nostri: la politica e le istituzioni rappresentano ancora un luogo di decisione e di sovranità popolare? Basti pensare al meccanismo con il quale si vota per la Camera e il Senato. Le cosiddette liste bloccate garantiscono realmente la rappresentanza? Se non rispondiamo onestamente a queste domanda non possiamo capire il perché oggi si assista a questo processo di desertificazione. Un professionista stimato perché dovrebbe avvicinarsi alla cosa pubblica? Può dialogare con la politica, questo accade, ma il suo impegno in prima persona perché non c’è più?

Non c’è più perché si è scientemente deciso che tutti i mondi di rappresentanza che avrebbero le competenze e gli strumenti per dare un contributo alla cosa pubblica dovessero stare fuori dall’ambito istituzionale. Un paradosso che ha generato la lacerazione alla quale stiamo assistendo. Una frattura che ha creato una dicotomia che vede da una parte la rappresentanza confinata al “virtual game” delle liste bloccate dei partiti e dall’altro l’apparato burocratico dello Stato (la giungla dei ministeri) che in assenza di interlocutori autorevoli allarga il proprio campo decisionale, questo non senza conseguenze.

Nel frattempo ci chiediamo perché l’astensionismo continui a crescere. Onestamente non so se siamo dentro una crisi senza ritorno, oggi non si può ancora dire. Di fronte al civismo di pochi continuiamo a lavorare e a insistere sulla speranza di molti.
Perché come diceva quello…. “Un'altra notte finisce, e un giorno nuovo sarà. Anna non essere triste, presto il sole sorgerà. Di questi tempi si vende qualsiasi cosa anche la verità.
Ma non sarà così sempre, perché tutto cambierà... cambierà.”

 

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