Tra gli ottimi esperimenti di cittadinanza attiva e partecipata, si staglia a livello italiano il modello di TorinoStratosferica, il format ideato dall'amico Luca Ballarini nel capoluogo piemontese, andato in scena lo scorso weekend. Tra progetti, boutade, provocazioni e rendering, la città si è lanciata in un esercizio mai sterile: ripensare se stessa.
E la città sabauda l'ha fatto con una buona dose di raziocinio, ma anche con una rinnovata ambizione, e la consapevolezza di chi vuole porsi come attore internazionale sulla scena del Paese. Il ricco parterre di invitati a workshop e conferenze era dunque fortemente connotato da presenze di relatori esteri, che hanno impollinato la città con il loro sguardo vergine, che spesso è anche il più lucido nella meraviglia e nella critica.
Tra le esperienze più significative di questa edizione c'è stata indubbiamente la testimonianza di Aaron K. Foley, da Detroit. Il signor Foley a Detroit si è inventato un mestiere che in diverse aziende americane è già da tempo la norma, ma per le città è pratica inedita: il Chief Storyteller.
Cosa fa questo signore? Racconta storie. Non in senso di frottole, ma di vere storie. Sulla propria città. Lo fa scrivendo articoli, certo, ma anche avendo a disposizione un team di grafici, esperti della comunicazione sui social, videomaker che producono contenuti mirati, facilmente fruibili su varie piattaforme, accattivanti.
Lo fa su impulso di un sindaco lungimirante, che ha capito una cosa fondamentale: che se non sei tu a narrare la tua città, qualcuno lo farà al posto tuo.
Ora, nella nostra città c'è tanto bisogno di stimolare l'immaginazione. Ne siamo così bisognosi che quando ci chiedono di concepire un futuro per aree strategiche il meglio che ci viene in mente è proporre una brutta copia di Gardaland.
Siamo una città internazionale, forse nostro malgrado, ma c'è una fetta importante della popolazione che già oggi vive di turismo. E il turismo vive di narrazione.
Quando mi capita di andare all'estero e dico da dove vengo, in pochi sanno dove sia La Spezia, ma tutti quando parlo delle Cinque Terre mi rispondono: "Oh, meraviglioso, ho visto delle foto bellissime su Instagram".
Questo territorio ha però molto di più da raccontare di quanto faccia un bel filtro sul tramonto di Punta Bonfiglio. Ci sono storie di prodotti locali, del nostro retroterra, le nostre valli, le leggende sulle nostre isole e i nostri scogli. C'è un'immensità di materiale che resta inespresso, perché non è stata ancora trovata una maniera intelligente di incanalarlo.
È uno spreco enorme, intollerabile ancor più perché a beneficiarne potrebbe non esserne solo l'industria turistica, ma quella manifatturiera, artigianale, creativa. I contenuti prodotti gioverebbero a tutti, ai giovani ma anche agli adulti, al nostro senso di appartenenza a una comunità, in primis, ma ovviamente anche agli operatori del settore, alle aziende, alla nostra Università, che rimane un gioiello di cui sfruttiamo ancora una parte infinitesimale del suo immenso potenziale (ed è da lì, non mi stancherò mai di ripeterlo, che dovrebbe generarsi la prossima classe dirigente della città).
Finora l'amministrazione attuale ha fatto benissimo nell'esercizio di ottimizzazione dei costi, ottenendo risultati spesso "a costo zero", specie in ambito culturale. Esistono però contesti in cui all'austerity bisogna preferire l'investimento, perché è solo tramite gli investimenti che si possono liberare energie che ricadono poi esponenzialmente moltiplicate sul territorio nelle forme più disparate.
Il Golfo dei Poeti ha bisogno di riprendere in mano la sua narrazione, specialmente in una città che decide di puntare fortemente, con lo strumento del DMO, sul proprio brand come indipendente dai "cugini fortunati" delle Cinque Terre.
Mai come oggi abbiamo davvero bisogno di qualcuno che racconti delle storie. Prima che siano gli altri, a raccontarle su di noi.
Filippo Lubrano
Presidente Giovani Imprenditori Confcommercio