"L’erosione marina ha intaccato e compromesso 3.500 chilometri sui circa 8.000 di coste italiane. A rischio sono in particolare le coste basse e sabbiose per oltre 1.600 chilometri; e su 540 km insistono beni, come centri urbani, strade e ferrovie, tutti a rischio crollo. (sopratutto nella Ligura dove la ferrovia passa a pochi metri dalla costa)". È quanto denuncia Hub Blue Economy La Spezia già nel 2016.
Considerando che – secondo i dati Istat-Eurostat – circa il 60% della popolazione italiana vive in una fascia massima di 5 chilometri dalla linea costiera, quello dell’erosione si è trasformato da un pericolo in una minaccia incombente con conseguenze anche economiche potenzialmente devastanti, testimoniate da oltre 24 milioni di metri quadri di spiaggia divorati dal mare dal 1980 a oggi (erano 14 milioni di metri quadri fra il 1990 e il 2000).
I dati sono importanti, testimoniano un'importante minaccia, non solo spezzina ma di tutte le coste italiane.
Per approfondire la questione, abbiamo intervistato Marco Grondacci, giurista ambientale spezzino. Il quadro che ne è venuto fuori non è per nulla incoraggiante.
Vogliamo spiegare, per chi non lo sapesse, chi è Marco Grondacci e di cosa si occupa?
Sono spezzino classe '57 e laureato in Giurisprudenza all’Università di Pisa.
Dal 1992 svolgo attività di consulenza legale e di formatore nelle materie del diritto ambientale e dei modelli di partecipazione del pubblico. Attività svolta per Regione Toscana e vari Enti Pubblici Locali liguri e toscani nonché per l’Arpat, aziende private e ordini professionali e studi legali nelle cause in materia ambientale. Nel 2014 sino al 2018, sono stato rappresentante del Ministero dell’Ambiente, in qualità di esperto in diritto ambientale, della sezione Toscana dell’Albo Gestori Rifiuti.
Autore di varie pubblicazioni in materia, in particolare: “Manuale di Diritto Ambientale” per le ediz. Le Monnier 1995 - “Lineamenti di Diritto Ambientale” tomo II al “Compendio di Diritto“ per gli Istituti Tecnici per Geometri coordinato da G. Zagrebelsky (ed. Le Monnier 1997 - 2000) - “Codice di Diritto Ambientale per la Professione di Geometra” (ed. Le Monnier 1997).
Dal 2011 pubblico su un blog tutto mio che si occupa in chiave tecnico giuridica delle tematiche dell’ambiente, del territorio e della partecipazione.
L'erosione delle spiagge è un fenomeno naturale oppure c'è la mano dell'uomo?
È indiscutibile il ruolo dell’uomo nella riduzione delle spiagge. In tutti i rapporti istituzionali (Ispra) e studi (di associazioni ambientaliste) emerge una chiara evidenza dell’intensa antropizzazione della fascia costiera prossimale al mare quindi, ad esempio, si comprende come siano praticamente scomparsi il 90% dei sistemi naturali di dune costiere che rappresentavano il lato terrestre del sistema costiero in equilibrio, oltre che una parte determinante del paesaggio costiero italiano e della biodiversità delle nostre coste.
Più in generale la erosione delle zone costiere dipende principalmente dal disequilibrio idrodinamico della corrente litoranea di fondo sotto-costa, determinato dall’intervento dell’uomo: moli, porti, scogliere e pennelli, che interferiscono sulla naturale circolazione litoranea della corrente. Vedi mappa di Ispra elaborata dal consumo suolo lungo fascia costiera per cui è ormai artificializzato il 23,4% della fascia costiera entro i 300 metri, il 19,7% tra i 300 e i 1.000 metri e il 9,3% tra 1 e 10 km, a fronte di un 7% del resto del territorio.
Inoltre, come dimostrano molti rapporti e studi (es. CoReMa srl) condivisi dalla comunità scientifica: “la sabbia trasportata si deposita nelle zone dove la corrente perde energia (creando seri problemi alla fruibilità delle aree portuali, alla navigazione ed alla balneazione), mentre in altri tratti la sua accelerazione provoca erosioni”.
Legambiente ha lanciato un grido di allarme, il 50% delle spiagge è a rischio erosione, lei condivide questa opinione?
Assolutamente si i dati parlano chiaro nascosti oggi dal dibattitto sulle concessioni balneari, sicuramente importante per i titolari delle concessioni ma come dire se le spiagge continuano a sparire anche il dibattitto sulle concessioni tra pochi anni rischia di diventare obsoleto a meno che non si vogliano costruire stabilimenti balneari a qualche decina se non centinaia di metri dal mare.
Si veda la figura dell’ISPRA
Può dare un giudizio sullo stato di salute delle spiagge del litorale spezzino?
Spezia è da sempre sostanzialmente priva di un vero sistema di spiagge se non qualche esempio isolato. Mi riferisco soprattutto al nostro golfo nel quale ormai ogni discorso di turismo balneare è chiuso da tempo visto lo sviluppo incontrollato del porto così per quel poco che si poteva recuperare vedi ad esempio baia di Panigaglia con il consolidamento del rigassificatore per altri 20-30 anni come minimo. Direi che qui la questione è chiusa.
Come possiamo contrastare il fenomeno dell’erosione costiera in modo sostenibile?
Intanto manca la volontà politica e non si applicano le indicazioni che vengono dalla Unione Europea come:
- la Direttiva 2008/56/CE che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino; Direttiva attuata, in Italia, con DLgs 190/2010.
- Il Protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del 2009
- la Direttiva 2014/89/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014, che istituisce un quadro per la pianificazione dello spazio marittimo
- Regolamento (UE) n. 1255/2011 del 30 novembre 2011 che istituisce un programma di sostegno per l’ulteriore sviluppo di una politica marittima integrata
Il principio fondante di queste norme europee ora anche nazionali è che occorre applicare l’approccio ecosistemico alla pianificazione e alla gestione delle zone costiere, in modo da assicurarne lo sviluppo sostenibile. Ecco mi si dimostri che questo ad oggi viene attuato in Liguria e nel resto d’Italia!
Sia sufficiente, come primo esempio molto significativo, il mancato rispetto delle linee guida sulle modalità di applicazione del Regolamento recante disciplina per il rilascio delle concessioni di aree e banchine: le prime adottate con Decreto 21 aprile 2023, il secondo con Decreto 202/2022. Queste linee guida prevedono che nel rilascio delle concessioni si debba valutare preventivamente:
- il rispetto degli obiettivi sulla transizione ecologica
- il rispetto del principio comunitario DNHS (Do no significant harm): non creare danni significativi all’ambiente.
Come si fa a rispettare questi principi visto che ormai le modifiche delle aree portuali e di demanio marittimo vengono attuate senza procedura di Valutazione di Impatto Ambientale ordinaria e aggirando anche le procedure di varianti ai piani regolatori portuali e di conseguenza la Valutazione Ambientale Strategica dei piani e programmi?
Aggiungo un secondo esempio: il recente Piano del Mare approvato con Delibera del Comitato Interministeriale per le politiche del mare il 31 luglio 2023. Un piano che parla di portualità di logistica, di rilancio delle fonti fossili soprattutto il gas e che solo in due capitoletti tratta di ecosistemi marini meramente descrittivi del poco fatto e di quello che ci sarebbe da fare.
Emblematico in questo Piano del Mare (QUI) è il passaggio (punto 2.1.1 del Piano) che conferma il rinvio a data da destinarsi della attuazione degli strumenti di pianificazione degli ambienti costieri sopra richiamati.
Secondo lei, nella nostra provincia, gli amministratori sono a conoscenza di questo processo sottovalutato?
Non è questione di consapevolezza almeno non solo. I politici e gli amministratori locali scontano una discreta ignoranza sulla tematica d’altronde quando mai nella scelta degli assessori all’ambiente nel nostro territorio si è privilegiata la competenza? Ma il vero problema non è questo che sarebbe facilmente risolvibile, ma la volontà di impostare politiche nuove anche scontando lo scontro con interessi e culture che esprimono interessi difficili da modificare anche perché nell’immeditato questo comporterebbe perdite di consenso elettorale che poi è quello che interessa alla politica. Per affrontare la problematica di una nuova pianificazione degli ambienti costieri occorrerebbe un ceto politico con una vista strategica oltre la prossima scadenza elettorale. Sono pessimista su questo probabilmente a breve ci penserà la natura a riportare l’attenzione della politica, come sempre la prevenzione non paga nell’immediato tranne poi dover intervenire tardi con danni incalcolabili anche economici.
Voglio concludere sul punto con un esempio che dimostra come la mancanza di scelte in questo campo produca danni non solo all’ambiente ma anche alla economia ad esempio portuale.
Un recente e in gran parte inascoltato (come denunciato anche dalla parte più lungimirante del mondo portuale) studio (QUI) di Environmental Defense Fund (QUI) dove si afferma che senza ulteriori azioni per ridurre le emissioni, gli impatti del cambiamento climatico potrebbero costare al settore dei trasporti marittimi fino a 25 miliardi di dollari per anno fino al 2100. Le stime però riflettono solo danni e interruzioni alle attività portuali per cui i costi futuri complessivi potrebbero essere ben più elevati.
Esistono comuni nella nostra provincia che hanno studiato delle contromisure per contrastare questo fenomeno?
Non mi risultano progetti specifici se non qualche norma negli strumenti di pianificazione (piano della costa, piano utilizzo demanio etc.) ma sostanzialmente inattuata. Per esempio, la Liguria è dotata da anni di un piano di tutela ambiente marino e costiero (PTMAC), ha partecipato a progetti europei a partire da “Beachmed”, fino all’ultimo progetto MAREGOT, di cui è Lead partner, un progetto Interreg transfrontaliero finalizzato alla prevenzione e gestione dei rischi derivanti da erosione costiera. Il problema che resta tutto in gran parte sulla carta!
Foto di repertorio