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FDM: Badawi e Nguyen, dall’Africa all’Asia, rimettere in discussione la storia e l’identità In evidenza

di Marina Lombardi – Zeinab Badawi e Viet Thanh Nguyen due eventi che promuovono narrazioni più autentiche ed inclusive. Riflessioni personali che rispecchiano la collettività.  

Un’altra giornata costellata di eventi filantropici sempre più variegati. Anche quest’anno al Festival della Mente si parla di mobilità umana in termini migratori tramite studi storici e vissuti personali.

Prendiamoci un momento per riflettere sul mondo, ma soprattutto per rimettere in discussione ciò che conosciamo. Lo scopo del primo evento è quello di rendere estraneo quello che conosciamo e rendere familiare quello che non abbiamo mai saputo. A spiegarlo meglio è Zeinab Badawi, giornalista e regista sudanese che insieme all’antropologo Marco Aime riflette e fornisce esempi sulla storia dell'Africa e la voce ritrovata. Un tuffo nella storia con una mano attaccata al presente. È questo l’evento di oggi. Sì, perché niente più di quello che è l’Africa oggi, la sua immaginazione e la sua narrazione, sono determinate dal pregresso storico da cui è stata caratterizzata o, meglio, colonizzata. I due hanno esplorato insieme le dinamiche culturali e storiche che troppo spesso hanno visto l'Africa relegata ai margini della storia. È un Africa che cerca un riscatto e verso cui questo Occidente, autoproclamatosi da sempre il migliore dei mondi possibili, deve più di un semplice ringraziamento.

L’Africa è infatti un continente che, nonostante il suo ruolo cruciale nella storia dell'umanità, è stato troppo spesso raccontato solo attraverso il prisma della schiavitù, dell'imperialismo e del colonialismo occidentali. È proprio in questo contesto che la figura della studiosa Zaynab Badawi - il cui libro Storia africana dell’Africa uscirà a brevissimo - risulta più che fondamentale proprio per il suo trascorso personale ed accademico. Sottolinea infatti come l'Africa sia il luogo di nascita dell'umanità, culla di civiltà nascenti che hanno segnato la storia mondiale. Ma non solo. Si tratta di un continente la cui storia è stata riscritta da altri, che cancellandone gran parte della ricchezza hanno raccontato interi popoli senza raccontarli davvero, o li hanno semplicemente ignorati.

Un dialogo, quello di questa mattina, che fa un passo in più nel tentativo di restituire all'Africa il suo posto nel mondo globale, smontando i luoghi comuni e riportando alla luce racconti sepolti. Il confronto con Marco Aime non è cosa da poco, il quale riflette su come l'antropologia – la sua stessa disciplina - abbia contribuito a marginalizzare l'Africa, definendo le sue popolazioni come "senza scrittura" o "senza Stato". Oggi però “è tempo di pagare il debito in gratitudine e di restituire all'Africa ciò che le è stato tolto - afferma l’antropologo - costruire una storia dell'Africa è come ricostruire un mosaico a cui mancano dei tasselli” sottolineando che, l'Africa non è mai stata fuori dalla storia, ma anzi è stata strettamente connessa al mondo mediterraneo.

Dall’Africa all’Asia: non mancano storie migratorie e paradossi d’accoglienza, temi che emergono dal dialogo tra la giornalista e scrittrice Francesca Mannocchi e Viet Thanh Nguyen, scrittore vietnamita-americano e Premio Pulizer nel 2016. Chi sono io? Quale me è reale? Dov’è il mio posto? Sono solo alcune delle domande che lo scrittore continua a porsi e a cui tenta di rispondere da tutta la sua vita in un costante Dualismo dell'Identità di una vita vissuta da chi è, allo stesso tempo un rifugiato ed un cittadino del paese che lo ha accolto.

Storia, identità e memoria. Oggi Nguyen racconta di cosa significhi vivere con due facce, essere vittima e carnefice. Come la memoria del passato e delle proprie radici possa essere integrata con il presente in cui vive – gli USA - per trovare un equilibrio e sviluppare un nuovo senso di gratitudine. La sua riflessione si concentra su come la letteratura possa offrire una profonda comprensione delle sfide e delle tensioni vissute da chi è costretto a migrare. È la necessità di ricordare e dimenticare ma soprattutto di capire quale delle due fare e come farla. “Ancora oggi non ho capito cosa dovrei ricordare e cosa dimenticare, penso anche avrò ancora molto lavoro da fare su questo” afferma Nguyen.  

Anche questo dialogo è un'importante riflessione sull'identità, sulla memoria collettiva e individuale. Nguyen mette in luce le difficoltà di chi cerca di costruirsi una nuova vita, una nuova identità, in un paese straniero che diventa poi il proprio a tutti gli effetti. Come si raggiunge una felicità, affrontando sfide che vanno ben oltre l'adattamento culturale?  “Quando vado a trovare mio padre, nonostante le sue difficoltà, trovo una persona felice, nonostante tutto” afferma. Una riflessione che racchiude in sé un altro grande tema, quello della salute mentale legata a percorsi migratori. Un tema doloroso con cui ha dovuto fare i conti a causa della malattia della madre, venuta a mancare anni fa.

Filo conduttore del Festival la gratitudine, tema che emerge in entrambe le storie di identità. La gratitudine si presenta non solo come un sentimento personale, ma come una necessità collettiva per riconoscere le influenze e le unioni che definiscono la nostra storia globale. Mettere in luce la ricchezza delle storie spesso dimenticate o marginalizzate, invitando il pubblico a guardare oltre le narrazioni convenzionali non è cosa da poco, e gli applausi del pubblico hanno certamente confermato la riuscita.  

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