Si è appena svolto il Campionato Mondiale di Pesto a Palazzo Ducale a Genova. Il vicecampione di questa edizione è Alberto Imparato, spezzino. La nonna di Alberto era genovese, la mamma di San Terenzo. Stretta la collaborazione con la Società Marittima di Mutuo Soccorso 1852 di Lerici, di cui è socio e con la quale Imparato organizza moltissime attività.
La Redazione di Gazzetta della Spezia lo ha sentito per farsi raccontare la sua storia e da dove è nata la sua grande passione per il pesto, passione che lo ha portato a raggiungere questo grande traguardo.
Alberto, da dove è nata questa passione per il pesto?
Il mio è un cognome napoletano, di cui vado molto fiero. I miei bisnonni arrivarono alla Spezia quando fu costruito l’arsenale. La mamma di mio padre era genovese: è stata lei che mi ha trasmesso la passione per il pesto. Aiutavo infatti la nonna a pestare il basilico e tutti gli ingredienti nel mortaio di marmo, che lei aveva ereditato da sua mamma. La nonna, da buona genovese, non faceva mai mancare questo prezioso condimento sulla pasta, spesso fatta in casa, secondo la tradizione della Liguria (croxetti, mandilli de sea…): io ero affascinato a guardarla, ancora prima di gustare il risultato del suo lavoro. Crescendo questa passione non si è sopita, anzi ho continuato a preparare il pesto per gli amici.
Come è arrivato a partecipare ai concorsi?
Un giorno ho scoperto che esistevano i concorsi, ma inizialmente non sono riuscito a partecipare perché leggevo la notizia solo dopo lo svolgimento delle gare. Dieci anni fa sono riuscito a partecipare alle selezioni, ma non ho vinto per pochissimo. Sono concorsi che si tengono all’aperto in mezzo alla gente, e in queste occasioni ho avuto buoni riscontri dagli spettatori. Preparare il pesto in pubblico, essendo osservati da una vera e propria folla, all’inizio era un pò imbarazzante per me, poi mi sono abituato al contatto sempre stimolante e spesso divertente con la gente che ti chiede e vuole sapere quale è il ‘segreto’ del pesto. Non c’è nessun segreto, se non quello di utilizzare tutte ottime materie prime, tra cui senz’altro basilico genovese, ma soprattutto il ‘know how’ particolare di saperlo fare nel mortaio di marmo. E’ questo che fa la differenza, non prescindendo dal fatto di saper trattare correttamente, senza strapazzarli, tutti gli ingredienti.
E’ un’arte che non si può insegnare e quindi tantomeno apprendere, se non con l’umiltà del discepolo verso il maestro. Si impara, quindi, osservando con attenzione chi lo sa fare e provando poi da sé stessi, accettando consigli e raccomandazioni certo, ma soprattutto provando e facendo da soli sino a quando si raggiunge il miglior risultato possibile. Penso, con raccapriccio, a coloro che magari hanno un mortaio in marmo in bella vista in cucina ridotto a mero elemento decorativo, e si ostinano ‘per praticità’ a preparare questa salsa nel frullatore: d’accordo è tutto molto più rapido, ma è il risultato che lascia a desiderare, e alla vista, il composto ottenuto assomiglia più ad un dentifricio alla clorofilla che al pesto. Fatte queste precisazioni penso che la preparazione del pesto al mortaio sia un ‘sapere antico’ che merita di sopravvivere per le generazioni future e che rischiava di andare perduto.
Lo scopo primario delle gare e del campionato è proprio questo in fondo: cento concorrenti che si sfidano per riuscire a fare la salsa migliore con gli stessi ingredienti uguali per tutti e lavorando esclusivamente nel mortaio di marmo. E’ un grande onore ed una grande responsabilità trovarsi ogni due anni nella magnifica Sala del Maggior Consiglio del Palazzo Ducale di Genova, per partecipare alla gara nel pieno spirito di De Coubertin, ma con la speranza, prima o poi, di riuscire anche a vincere il campionato mondiale! E’ una cosa molto bella, emozionante e ‘pulita’, non ci sono favoritismi di sorta, alcuni partecipano dalla prima edizione del 2008, e i giudici sono imparziali. Vince veramente chi fa il pesto migliore, quello che in parole povere riesce ad avere alla vista l’amalgama ed il colore migliore, ed il gusto più ‘bilanciato’, dal momento che il sapore di uno degli ingredienti non deve mai sovrastare l’altro. Va detto che ormai, rispetto alle prime edizioni, la maggioranza dei ’pesto’ è in larga parte ottima e le differenze sono davvero minime: a detta degli stessi giudici ad ogni edizione è sempre più difficile la scrematura dei dieci finalisti prima e del campione mondiale poi. Non mi dispiace, in fondo, perché così sono ‘costretto’ ad allenarmi ancora con le preparazioni di tanti ‘pesto’, a colpi di pestello e mortaio, per la felicità di familiari ed amici.
Poi è arrivato il Campionato Mondiale edizione 2024…
Al di là della vittoria, lo spirito è quello di passare una giornata tra la gente facendo qualcosa che piace, uscendo per un attimo dalle contingenze quotidiane.
Per accedere al Campionato Mondiale di Pesto, che si tiene ogni due anni, si deve prima passare una selezione. Vengono ammessi tutti coloro che arrivano primi alle preselezioni.
Durante il campionato ci sono due scremature, la prima su 100 concorrenti che provengono per 50 dalla liguria, ammessi tramite iscrizioni o gare eliminatorie fra un campionato e l’altro, 25 da tutta italia, 25 da tutto il mondo.
Ci ritroviamo a Palazzo Ducale, come dicevo, nel bellissimo Salone del Maggior Consiglio. Siamo divisi in 10 gruppi da 10 tavoli ciascuno e alla finale passa il vincitore di ogni batteria. I giudici sono gourmet, esperti di cucina, oppure chi ha vinto le precedenti edizioni. Gli anni scorsi sono sempre arrivato secondo nella mia batteria, quindi quando quest’anno ho sentito pronunciare il mio nome per la finale quasi non volevo crederci!
Abbiamo 40 minuti per fare il pesto, io di solito lo faccio nel tempo in cui bolle la pasta. Questa volta ce la siamo giocata in due: nel mio mortaio e in quello del vincitore alla fine a forza di assaggi non c’era più pesto e le palettine usa e getta dei giudici erano quasi finite. Da questo mi sono accorto che stava andando bene!
Sono contento di essermi aggiudicato il secondo posto. E’ un riconoscimento importante al mio impegno di portare avanti la tradizione del pesto. Penso che l’eredità più grossa ricevuta dalla mia famiglia sia il mortaio della bisnonna, eredità che credo di aver onorato con questo piazzamento. Penso che facendo un buon pesto, si renda felice chi lo assaggia, è un’eredità spesa bene, a differenza del denaro. Basta un pò di basilico, parmigiano, uno spicchio d’aglio, olio, si fa una bella pasta al pesto e si sta in compagnia, anche questo ha un suo perché.
Ci riproverò tra due anni…
Ma Alberto, ha anche un’altra grande passione…
Esatto, ho la passione del mondo legato ai transatlantici, per quel periodo in cui le persone si spostavano da una parte all’altra del mondo con la nave, utilizzandola come mezzo di trasporto, prima di essere sostituita dagli aerei. Wally Simpson, ad esempio, preferiva viaggiare sulle navi italiane, l’ultima traversata dall’America la fece sulla Michelangelo, nel 1975. Poi non si spostò più dalla Francia perché la nave che seguiva la rotta per gli States era la Queen Elisabeth, e lei non sarebbe mai salita su una nave con quel nome.
Tra le altre cose, colleziono anche i menu dei transatlantici: alcuni propongono fino a 80 portate, sono tantissimi i piatti di origine ligure, come la torta di carciofi o le lasagne al pesto. Questa passione è nata forse perché il fratello di mia nonna era cuoco di bordo, non sui transatlantici, ma sulle navi da carico: aveva i suoi strumenti del mestiere, conservo ancora una mandolina in legno e una mezza luna.
Sono socio della Società Marittima di Mutuo Soccorso 1852 di Lerici con la quale, coniugando queste due passioni, organizziamo seminari sui transatlantici e anche giornate in cui insegniamo a fare il pesto: un modo per passare una giornata diversa, conoscendo nuove persone, evadendo dalla quotidianità.
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Crediti fotografie: Alberto Imparato.