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Luca Erba nell’editoriale di questa domenica affronta il tema del conflitto Russia-Ucraina.

Può accadere, non così di frequente, che si verifichino le condizioni affinché la vuota retorica soccomba dinnanzi al corso degli eventi. È il grande insegnamento della storia, ad un certo punto temporeggiare non basta più, la fuffa degli interventi roboanti si scioglie come neve al sole. La guerra e la pace non possono stare insieme. L’una è la negazione dell’altra. La guerra in Ucraina volente o nolente ci mette davanti due strade: l’escalation del conflitto (con conseguenze incalcolabili) e la via del negoziato diplomatico per arrivare alla fine del conflitto. Non ci sono altre strade. Non c’è la pace se la guerra continua.

Con molto realismo bisogna anche intendersi su quali siano le condizioni affinché si verifichi lo scenario della fine del conflitto. Un negoziato oggi con la Russia cosa richiede? L’Unità territoriale dell’Ucraina è una premessa per sedersi al tavolo oppure si crede che il negoziato comporti necessariamente la cessione di porzioni territoriali? La posizione di svantaggio o vantaggio sul campo militare condiziona la trattativa per fermare il conflitto? Domande lecite. Quando si apre una trattativa esistono pesi e contrappesi, esistono rapporti di forza che non possono non essere valutati. Il campo militare, oggi, chi vedrebbe favorito con la prosecuzione della guerra? Chi sarebbe il vincitore? E chi lo sarebbe domani? Anche queste sono domande lecite se lo scenario è quello di valutare entrambe le strade. O la guerra o la pace, non esistono altre forme di percorso.

La Francia fa sapere che sarebbe pronta ad inviare truppe sul campo per sostenere militarmente la causa Ucraina. Militari Nato pronti a combattere l’invasore Russo. L’Europa ha quindi deciso di assumersi la responsabilità di andare a misurare la reazione e la tenuta della Russia direttamente sul campo militare? Exit strategy che vuole favorire l’apertura di un tavolo per negoziare la pace? Una mossa sulla scacchiera per vedere sino a dove è pronto a spingersi Putin? La fine del conflitto si raggiunge portando avanti la guerra? Tutte domande legittime, dubbi che per adesso non trovano risposte.

La percezione, non poco evidente, è che l’Europa sia arrivata alla gestione di questo conflitto in maniera scomposta. Ventisette gli Stati membri e diverse “sfumature” che emergono sempre di più come contraddizioni di una linea unitaria che non si trova. La guerra o la pace, non ci sono altre strade. I però, i ma, i se e le incertezze che l’immobilismo comporta hanno l’effetto di costruire un lento e costante logoramento di chi (notizia non proprio di questi giorni) pare stia esaurendo armi e soldati, l’Ucraina è sull’orlo di una resa militare? Domanda legittima.

Nel frattempo intorno all’Europa soffiano venti e correnti che configurano la formazione di un quadro non semplice. La Cina non intende rompere con la Russia perché al di là delle urgenze interne al paese (l’economia al primo punto) ha un’agenda geopolitica che ha un’ispirazione sostanzialmente anti occidentale. L’India, oggi una superpotenza tecnologica, in questo scenario prosegue la sua politica commerciale a braccetto con la Russia continuando a comprare gas e petrolio a prezzo ridotto. L’alleanza dei paesi del “Brics” è viva e si rafforza sulla base di interessi convergenti. E in questo contesto a dir poco complicato e incerto (in discussione l’intero ordine mondiale e la sua gerarchia economica e politica) gli Stati Uniti appaiono sempre di più piccoli piccoli. Sullo sfondo l’incertezza di un esito elettorale che avrà un effetto domino a dir poco significativo. Oggi la Presidenza Biden si è caratterizzata per un certo attivismo sul conflitto in Ucraina ribadendo un’ispirazione legata a quello che dovrà o non dovrà essere essere il nuovo ordine mondiale, una politica estera che vede l’organizzazione di un conflitto sul campo economico (e non solo) con la Russia e la Cina. Dall’altro lato della barricata Donald Trump non ha mai fatto mistero circa la sua posizione anti-interventista e la poca simpatia verso Zelensky e l’Ucraina, un bel punto interrogativo a proposito del lungo effetto che potrebbero avere le elezioni americane.

Davanti a noi tutta la complessità di uno scenario internazionale che si muove velocemente. Preoccupante la grande debolezza rappresentata dal “pollaio europeo”.
A giugno le elezioni europee, un appuntamento che viene identificato come un evento “salvifico” in grado di creare la chiarezza necessaria per restituire all’Europa una parvenza di linea politica unitaria, tutto vero, sarà un voto importante.

Nel frattempo? Nel frattempo il rischio che gli eventi non facciano la cortesia di concedere ancora tempo e spazio a tanta incertezza.





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