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di Luca Erba - Il 2024 e una nuova religione di strada che riporti con realismo il sacro nel quotidiano.

Non è mai semplice immaginare quello che sarà. Soprattutto dopo questi anni così veloci e imprevedibili. Tutto cambia e cambia così velocemente che si ha però la strana sensazione di restare sempre fermi nel solito punto. L’impressione più evidente in questo ultimo giorno dell’anno è che ora tutto sia pronto per affrontare una nuova restaurazione. Se dovessi accostare il 2024 a quello che sarà, tutto mi porta a pensare ad un anno nel quale le cose in forma ordinata saranno organizzate per rafforzare l’ordine prestabilito.

La cosa che più mi ha turbato di questi ultimi anni dopo la pandemia Covid è stata l’affermazione di due eserciti contrapposti. Da una parte quello del perbenismo e dall’altro quello del benaltrismo. Due facce della stessa medaglia. Strutture che hanno condizionato il nostro modo di vivere e di pensare. Perbenismo per affrontare ogni grande dibattito. Dal conflitto in Ucraina, alla questione climatica piuttosto che il tema dell’immigrazione. Si dice ma non troppo, ci si pronuncia ma si rimane ancorati a posizioni che esulano dal merito e dall’approfondimento. Si capisce “dove tira il vento” e ci si schiera moderatamente in ordine per non fare troppo rumore. Stesso risultato invece per chi pensa di tenere posizioni rivoluzionarie su uno dei temi citati. Testimonianze di un intorpidimento antropologico che caratterizzano una sostanziale paralisi, quella nella quale ci siamo infilati.

Il perbenismo vuole che sul conflitto in Ucraina si possa dire soltanto “pace e libertà per il popolo Ucraino” tacciando chiunque osi avanzare un minimo prolungamento dei due concetti espressi (per i quali tra l’altro a mio modo di vedere non si può che essere d’accordo) di filo putinismo o peggio ancora un sanguinario guerrafondaio. Con il legittimo dubbio però che proprio quella confezione con etichetta sia il preludio di un esito molto più complicato di quanto si ipotizzi o si speri. Un effetto che passa anche attraverso l’esito delle elezioni americane per il trono d’Occidente.
Aggiungendo che l’America Latina è in subbuglio, Milei docet, e l’andatura della democrazia degli Stati Uniti claudicante come il suo attuale Presidente. È davvero sufficiente pensare che una ricetta da benpensanti sia necessaria per arrivare allo scopo? Dubito fortemente.

Da diversi anni siamo costretti ad assistere anche al balletto sulla questione climatica. Da una parte le azioni (a dir poco demenziali) di chi decide di sdraiarsi in mezzo alle corsie dell’autostrada, di interrompere concerti o di imbrattare quadri o statue di musei e città, e dall’altra chi fa spallucce sostenendo che ci sono temi più urgenti e impellenti della questione climatica (per non parlare di chi la nega proprio). Anche su questo tema il forte disagio di chi come me pensa che ci sia un’urgenza reale sulla questione climatica (da affrontare con una discussione seria che coinvolga scienziati e mondo accademico) e che quelle manifestazioni producano soltanto l’esito di allontanare l’opinione pubblica dal focus che non è sicuramente quello al quale ci hanno costretti ad assistere. Se prestiamo attenzione a quello che sta accadendo ci possiamo rendere conto che oggi si parla di più della contrapposizione fra il diritto di manifestare un forte disagio per il tema ambientale o quello di un automobilista di andare a lavorare. Un caso di scuola di eterogenesi dei fini! Alla fin fine si parla di tutto tranne che del problema. Una follia prodotta da quell’approccio testimoniale che ha definitivamente sbaragliato il campo imbavagliando la politica e producendo un nulla di fatto. Si veda l’esito della COP28 a Dubai.

Stessa logica e stesso menù per la questione immigrazione. Ne è un esempio lampante “l’accordo” Italia-Albania. Siamo stati costretti ad assistere ad un dibattito surreale. Solito schema figlio delle etichette per le quali Minniti era un delinquente, Mimmo Lucano un eroe e la Meloni una venditrice di fumo ma che finiscono tutte quante per trovare una linea comune: concluso il rito dell’appiccicare l’etichetta sul barattolo passiamo freneticamente a quello successivo con l’esito di accantonare le grandi questioni del nostro tempo con estrema facilità. Tre temi che esemplificano in maniera esemplare come la restaurazione di questo momento storico stia arrivando con grande prepotenza. Ma ce ne siamo accorti? L’emergenza ci tranquillizza perché paradossalmente finisce per consegnarci l’alibi per continuare a stare comodamente seduti.

Mi chiedo, credo con legittima preoccupazione, se mai verrà il momento per interrompere questa fase di “etichettatura delle marmellate” e il perbenismo, piuttosto che il benaltrismo, lasceranno mai spazio al buon senso come strumento (anche di vero conflitto) per affrontare i nodi che attanagliano questa stagione così grigia. Mi chiedo se verrà mai il tempo in cui non ci si renderà conto che così non si può andare avanti ancora per molto.

Ecco perché ho scelto la “Morte della Vergine” di Caravaggio per l’anno che verrà. Nell’auspicio che l’umanità senza convenzioni ritorni a galla, riemerga dal torpore di questi anni scrivendo una nuova religione di strada che riporti il sacro nel quotidiano con realismo e quel buon senso che ricominci a dare l’attribuzione di un giusto significato alle cose.

 

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