A distanza di tre anni dalla pandemia, o meglio dalle restrizioni imposte per controllare la diffusione del virus Covid19, tutti abbiamo avvertito che i comportamenti sociali sono mutati e le diffidenze verso il prossimo sono cresciute. Indubbiamente i luoghi deputati alla socialità sono quelli che più ne hanno risentito e ne risentiranno ancora quando una nuova pandemia si affaccerà all’orizzonte.
Ristori per i gestori di Bar e Ristoranti, Pizzerie comprese, sono stati enormemente insufficienti e questi imprenditori si sono inventati nuovi servizi per superare i periodi di lockdown scanditi dai quotidiani decreti che stabilivano aperture o chiusura, totali o parziali a seconda delle colorazioni delle regioni.
Chi si è reinventato una nuova professione e chi invece ha colto la chiusura obbligata per operare investimenti nell’ipotesi di un più rapido rilancio a barriere abbattute.
Antonio Di Vita, Chef e proprietario del ristorante “Parma Rotta” è uno di coloro che hanno scelto la strada dell’investimento per arrivare ad eccellere in qualità, non solo intrinseca ma anche percepita dal cliente.
Ad Antonio abbiamo chiesto quale è stata la molla che ha fatto decidere nella direzione delle elevate spese, piuttosto che verso un recupero parziale dei ricavi come molti suoi colleghi hanno optato.
“La Passione, un po’ di coraggio e tanto ottimismo”, questa è stata la pronta iniziale risposta del ristoratore.
“Ho pensato che una ristrutturazione profonda di locali e attrezzature come quella che avevo in mente di fare non l’avrei potuta realizzare in tempi normali. Dalla cucina alle celle e alla cantina per quanto riguarda le attrezzature, con annessi impianti rinnovati in toto, per finire con le ristrutturazioni delle sale per una migliore accoglienza degli ospiti. Opere nelle quali mi sono impegnato quotidianamente con gli artigiani per un impegno di oltre 85 giorni e di circa 300.000 euro di investimenti finanziari.“
Indubbiamente l’atteggiamento tenuto da Antonio Di Vita e dalla famiglia, in primis dalla moglie con la quale ha fondato il locale 40 anni fa, stesso anno della primogenita, e dalle due figlie e il genero, tutti occupati, con diverse specialità, nell’impresa. Tutti solidali nella scelta di rischio che solo un vero imprenditore può serenamente cavalcare.
“La pandemia ci ha aperto gli occhi, prosegue Di Vita, ha fatto capire che non si può dare nulla per scontato. Quando va bene, va bene, ma alla prima difficoltà ci si cade dentro con rischio di farsi molto male. Ecco che, con 3 mesi di chiusura, abbiamo scelto di cambiare e migliorare tutto, il ciclo di lavorazione. Un capitolo a parte va aperto sul personale”.
E’ un argomento che sta molto a cuore in quanto è anch’esso un investimento “per il futuro. Bisogna convincersi che occorre modificare l’assetto nel mondo del lavoro e in particolare il nostro settore va meglio governato. Lavoriamo quando gli altri cercano ristoro e non lavorano per pause, riposo o per vacanze. Noi della vecchia guardia siamo stati motivati da una forte passione che ci ha consentito di oltrepassare le difficoltà e la stanchezza, ma oggi bisogna fare i conti con esigenze fortemente mutate, obbligando alcuni a scegliere di abbassare le serrande nei giorni festivi, sabato e domenica comprese. Dobbiamo cercare di ricreare le condizioni affinché i giovani tornino a appassionarsi a questo lavoro. Da parte nostra abbiamo introdotto varie tipologie di contratto per adeguarci alle diverse esigenze manifestate. Dal tempo continuo al tempo parziale siano a chiamata. Abbiamo ridotto l’orario di lavoro e esternalizzato alcuni lavori pesanti come le pulizie ad esempio così come le ferie le abbiamo concentrate per tutti nello stesso periodo, chiudendo il locale, al fine di non caricare di extra lavoro coloro che dovessero restare in servizio.”
Se il mondo è cambiato anche la clientela ha necessariamente modificato atteggiamenti e presumibilmente anche le aspettative.
“Possiamo massimizzare la qualità intrinseca ma mancare l’aggancio al cliente. E’ indispensabile immaginare quale sarà il cliente del futuro. E’ una persona che sarà costretto a mangiare, nutrirsi al di fuori delle mura domestiche. Ed in forza di questo cambiamento che avanza dobbiamo farci trovare pronti per riallocarci a quel target e offrirgli un servizio che non sia solo alimentare ma nutrizionale. Dobbiamo educare a un consumo corretto, soddisfacente al palato ma al contempo salutare. Il cliente deve trovare anche un clima accogliente e, dulcis in fundo, concludere il pasto con un dolce all’altezza delle altre portate è un po’ come consegnare un piatto del “buon ricordo”. Pensa che il 95% degli ospiti conclude il pasto con il dessert. Ecco perché abbiamo puntato anche su una pasticceria di qualità, grazie alla predisposizione della figlia più giovane, Jessica, che ha voluto specializzarsi in questo campo acquisendo i segreti dai grandi del settore come ad esempio l’apprendimento formativo maturato al Ristorante Vittorio di Brusaporto (BG), un tre stelle dove qualità e organizzazione (sono impiegati 1.000 dipendenti nelle varie attività) vano a braccetto, accompagnando con coccole il cliente sino alla eccellente porzione di pasticceria. Così, in armonia con tutte le portate, anche la nostra pasticceria segue l’andamento stagionale.”
Un’organizzazione che Di Vita ha potuto declinare nella propria impresa anche grazie alla predisposizione dei familiari che daranno continuità al ristorante. Antonio e la moglie Lorella, i fondatori e ancora con ben salde le redini della conduzione, hanno saputo trasferire la loro passione alle figlie, Lara nata nel 1984, anno di fondazione del locale, e che si è presa in carico il delicato ruolo di management e della amministrazione mentre il marito Alfonso cura la cantina, preziosa, qualificante e in via di digitalizzazione affinché si escluda la possibilità di offrire prodotti esauriti e infine Jessica che alle competenze di cucina ha affiancato la preparazione della pasticceria.
“Per ora il mercato ci sta dando ragione e avvertiamo che la nostra passione è ben percepita dai clienti che approvano il nostro lavoro e la nostra accoglienza, quello che le nuove generazioni hanno difficoltà ad interpretare e quindi ad offrire. Il ruolo del ristoratore non è un lavoro superficiale, abbiamo perciò il dovere di mantenere alto il valore della tradizione nazionale che ci ha consentito di collocarci al vertice mondiale della cucina. Mi auguro che questa alta tradizione possa essere mantenuta, ma per far ciò occorre tornare a qualificare le scuole che negli ultimi anni hanno perso di appeal, soppiantate, forse, dai reality che mettono in mostra solo le parti piacevoli del lavoro, meno le difficoltà e le sofferenze, quelle che solo la passione può lenire.”
A conferma dell’attenzione al campo del personale, Antonio chiosa con l’auspicio che si diffonda il “rispetto dell’individuo, che per me è una priorità e mi auguro possa esserlo per tutti gli chef. Noi dobbiamo diventare gli artefici del nostro e altrui futuro”.
(Foto di Francesca Bocchia)