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Festival della Mente, un’occasione di viaggiare in profondità con Erika Fatland In evidenza

di Marina Lombardi – la dimensione del viaggio raccontata da un’antropologa.

Parlare di viaggio non è mai banale, soprattutto se a parlarne è una scrittrice di formazione antropologica, le cui riflessioni si sviluppano attraverso quella lente, o per meglio dire, quegli occhiali culturali ormai dismessi. È Erika Fatland, che quest’anno al Festival della Mente ha parlato di meraviglia e viaggio nello spettacolo “Wonderlust: il desiderio di scoprire il mondo”, insieme allo scrittore Alberto Riva e l’interprete Sonia Follin.

Fatland si domanda all’inizio del suo libro La Frontiera, “Perché si viaggia? Perché ci si espone a tutte le noie di uno spostamento di grandi distanze e soggiorno in paesi lontani e sconosciuti?”. Domande a cui cerca di dare una risposta adeguata ma anche basata sulla propria esperienza di vita “la mia teoria è che continuiamo ad intraprendere nuovi viaggi perché la natura ci ha dotati di una memoria ingannevole e fallace. Una volta tornati sani e salvi a casa le noie si trasformano in allegri aneddoti oppure finiscono nel dimenticatoio. La memoria non è una linea retta, ma un diagramma pieno di punti culminanti. Inoltre, la memoria è astratta, viste dal futuro le noie del passato appaiono reali come un sogno”.

La dimensione del viaggio è il fulcro della questione, che secondo Fatland implica in sé anche il sacrificio, “ci sono vari modi di viaggiare, credo che ogni tipo di viaggio comporti un qualche disagio, come alzarsi molto presto per prendere il volo o un’intossicazione alimentare, una discussione – spiega – quando poi arrivi a casa tendi a dimenticarti di tutti questi momenti di disagio e tutta quell’esperienza si trasforma in un bellissimo ricordo di una vacanza d’amore. La memoria ha un modo ingannevole, che riguarda molte esperienze della vita”.

Viaggio come capacità di aprirsi al nuovo, di affinare la capacità di osservazione proprio nel momento in cui vediamo le cose per la prima volta. Erika Fatland, norvegese, classe ’83, ha iniziato a viaggiare fin da piccola, “non ricordo il mio primo viaggio, ma sicuramente la mia prima esperienza all’estero da sola, in Francia” solo la prima di tante altre esperienze che nel corso della vita l’hanno portata a partire per guardare il mondo da vicino e praticare quell’osservazione partecipante tipica della ricerca etnografica di stampo Malinowskiano anche a costo di incappare in esperienze che “non avevano assolutamente nulla di meraviglioso”.

È diventata così una scrittrice di viaggio, che racconta i territori che visita da un punto di vista intersezionale, intersecando la storia, le esperienze vissute, le interviste, per analizzarlo e restituirlo poi in parole sotto l’ottica antropologica, senza la quale un vero racconto di viaggio non può esiste. Sta attualmente lavorando ad un libro sulla colonizzazione dell’impero portoghese “il primo impero esteso a livello mondiale e anche l’ultimo – spiega – sto visitando in particolare le ex colonie africane e sono stata diverse volte in Guinea Bissau. Si tratta di un paese totalmente privo di infrastrutture, la cui prima fonte economica di ricavo ufficiale è la produzione di anacardi e quella non ufficiale il narcotraffico mondiale.

Una serie di territori lontani ma soprattutto complessi, quelli raccontati da Fatland, come quel viaggio sul treno in Kazakistan che la costrinse a tre giorni di viaggio che non portarono poi a nulla di utile né bello, se non un ricordo postumo su cui ride e scherza oggi. Appassionata da sempre a quella zolla di terreno che racchiude l’ex unione sovietica e che ha studiato a lungo, racconta che il suo amore per la Russia, dove ha passato molto tempo ad impararne lingua e cultura, nasce “banalmente per le sue dimensioni. Quando ero a scuola vidi una cartina geografica e la cosa che mi colpì di più fu proprio la Russia”. Paese in cui passò la prima esperienza ospite di un’anziana signora “era convinta di essere in fin di vita e malata di tubercolosi – ricorda con ironia – la casa era in un palazzo enorme dove tutti i portoni erano uguali, nella città di San Pietroburgo. Ogni mattina a colazione si mangiava aglio. Solo aglio, crudo. Un’esperienza piuttosto traumatica ma quando tornai a casa decisi di riorganizzare meglio un altro viaggio in Russia dove studiai anche la lingua”.

Questi sono solo alcuni dei tanti racconti di Erika Fatland, che all’interno del Teatro Impavidi di Sarzana ha coinvolto più di un centinaio di persone. Il Festival della mente proseguirà con una serie di appuntamenti fino a domenica 3 settembre ed è possibile seguire aggiornamenti tramite la pagina Facebook.

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