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Ricordami

Il racconto di Francesco Falli, testimone dell'accaduto

Il 26 Agosto del 1982 ci fu la strage di Salerno, 40 anni fa, un attentato delle Brigate Rosse ai militari della caserma "Cascino" di quella città…io c’ero, anche se non come diretto testimone del fatto, ma in quanto soldato trasmettitore coinvolto dall’allarme generale che travolse tutta la caserma ; ero infatti un soldatino di leva, appartenente al settimo scaglione di quell’annata: in gergo, ero del 7/82.
Ecco i miei ricordi....(accompagnati da una foto reperita sul web: qui si vede il Ministro della Difesa, Lelio Lagorio -scomparso nel 2017- che va a trovare il povero Antonio Palumbo all'ospedale di Salerno, in una affollata stanza d’ospedale...)


Durante il mio mese di CAR – Centro Addestramento Reclute- a Salerno ci fu, infatti, questo agguato importante delle BR (un gruppo staccato, con base a Napoli) ad una camionetta che trasportava alcuni soldati (sempre militari di leva) assegnati al quadro permanente; cioè soldati che avrebbero svolto tutto il servizio militare (un anno) in questa caserma, con l'obiettivo di prelevare le loro armi.

Quel piccolo drappello di militari quel pomeriggio era di servizio e si stava spostando, come vedremo, da una caserma all’altra; era da poco cessata l’attività istruttiva ed anche noi eravamo appena usciti dalla caserma, in libera uscita un minuto esatto dopo le ore 17.
Si disse molto sul piano della strategia delle BR, in quel periodo, tesa a recuperare le armi necessarie per le loro attività ; pochi giorni prima, le BR avevano fatto irruzione in una caserma romana dell'Aeronautica, e portato via mitra e fucili.

Su quella camionetta assalita dalle BR c’erano dei ventenni, ragazzi come ero io allora, che sicuramente vivevano in un Paese martoriato dal terrorismo, certo: ma che non potevano immaginare di essere stati presi di mira dalle attenzioni dei terroristi, sicuramente osservati da un appartenente al movimento eversivo che viveva in zona, o che li aveva in qualche modo notati.


Dunque quel giorno di agosto i terroristi fermarono il convoglio militare (la Jeep e un furgone, che portava il pasto per il corpo di guardia) per recuperare le armi: in tutto gli aggressori erano in dieci, secondo altre ricostruzioni addirittura in quindici: naturalmente armati e pronti a tutto, avevano pianificato ogni dettaglio; ed infatti spararono e bloccarono subito i mezzi militari, sui quali viaggiavano quattro soldati; ma una pattuglia della Polizia, che aveva sentito gli spari, si precipitò sul posto dalle strade limitrofe, e subito anche l’auto venne raggiunta dai colpi dei terroristi; l’agente alla guida sarebbe morto subito; un altro sarebbe morto il 30 agosto per le gravi ferite riportate.
I loro nomi erano Antonio Bandiera e Mario De Marco, agenti della Polizia di Stato, caduti nell’adempimento del loro dovere e certamente oggi ricordati soprattutto dai loro cari, invecchiati senza di loro.


Tra i soldati di leva, e qui attingo ai miei ricordi diretti, il solo che tentò una reazione, come si disse allora, armando il proprio fucile, fu il caporale Antonio Palumbo, un giovane leccese del 4/82, quindi soldato da soli quattro mesi.
Antonio era stato promosso caporale poche settimane prima, il 29 luglio, il giorno della mia partenza da Spezia.


Sdraiato sotto la jeep il Caporale Palumbo armò il suo fucile, ma venne subito colpito da una raffica al ventre sparata da uno degli assalitori.
La sua ferita sembrò inizialmente compatibile con la vita, poi le sue condizioni peggiorarono: il 23 settembre morì, per lo sconforto di tutti noi e l’immenso dolore dei suoi familiari.

Tornando ai miei ricordi diretti di quel giorno assurdo e pazzesco, ricordo che ci fu un passaparola che raggiunse tutti noi soldati di leva, già usciti per Salerno.
Ci veniva chiesto di rientrare, subito.


Noi eravamo ancora nei pressi della caserma e rientrammo facilmente, e osservammo una scena che ci colpì: tutta la caserma si era messa in una sorta di stato d’allerta, con soldati e sottufficiali con i fucili dietro le mura perimetrali, come in un fortino delle truppe americane attaccato dagli Indiani al tempo del Far West!

Ricordo anche qualche difficoltà pratica, con elmetti o troppo larghi, o troppo stretti, perché certamente era una situazione davvero distante dalla routine quotidiana, uno tsunami che aveva investito una caserma in genere tranquilla, dove non era certo schierato un corpo di reazione rapida, ma una semplice scuola trasmissioni: e quella, purtroppo, non era una esercitazione.
Al corpo di guardia ci tirarono letteralmente dentro la caserma, dove la vita quella sera continuò con molta difficoltà; non ricordo se e come cenammo; ricordo benissimo, però, la lunga trafila per per chiamare i nostri familiari dalla fureria; una lunga serpentina di ragazzi sulle scale, in attesa del proprio turno per chiamare direttamente casa, dagli uffici normalmente chiusi in quelle ore notturne...


Ovviamente i TG nazionali, dando la notizia, non dissero molto nei dettagli ed i nostri parenti passarono una serata drammatica, fino alla telefonata che portava il sollievo in quelle case; io in qualche modo riuscii a parlare con mio padre che si rassicurò della mia situazione; ero naturalmente illeso.

Da lì a pochi giorni iniziò una nuova organizzazione: tanto per cominciare, le ''guardie'' si cominciarono a fare con il colpo in canna; cosa che, scoprimmo in seguito, causò ben più di un incidente in tutta Italia!
Fino a quel giorno, la ‘’guardia’’ era naturalmente armata, ma il colpo doveva essere caricato.


Ora invece, prima di montare di guardia, si caricava già in armeria il fucile "pronto allo sparo", ed una massima, costante attenzione all’inserimento della cosiddetta sicura.
Inoltre, al mattino ci si alzava mezz’ora prima per fare numerosi giri di corsa nel cortile della caserma: venne chiamata ‘’reazione fisica’’; che fu piacevole ancora fin verso novembre, al Sud; ma a Torino fu un dramma vero verso Natale, quando la casermona dove eravamo ospitati, in Corso Unione Sovietica, aveva perfino l’acqua ghiacciata nei tubi, a causa del gelo esterno.


Queste novità raggiunsero naturalmente tutte le caserme d’Italia, dove i soldati di leva rimasero turbati da questa faccenda tristissima, e che a distanza di anni ricordo per rispetto dei Caduti; oggi il povero commilitone e soldato di leva Palumbo avrebbe una sessantina d’anni, come me.

I tre Caduti erano figli di famiglie operaie, e loro stessi ragazzi qualsiasi, uccisi da un movimento eversivo che sosteneva di agire per le classi più deboli.

Per la cronaca, nessuno venne neppure processato per questo delitto.
Resta di loro una lapide sul luogo dei fatti, ed il ricordo, ancora vivo certamente nei familiari, negli amici, e in uno spezzino che fu militare allora, 40 anni fa.

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