Il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” ha fatto tappa a Pontremoli, per iniziativa della Sezione ANPI e dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, e a Riomaggiore e a Sesta Godano, per iniziativa dei due Comuni, presenti i Sindaci Fabrizia Pecunia e Marco Traversone. Sindaci presenti anche a Pontremoli: Lucia Baracchini, padrona di casa, e Annalisa Folloni di Filattiera.
Si è discusso, stimolati da Alessandro Volpi, Filippo Paganini e Getto Viarengo, di come gli anni Sessanta e il Sessantotto abbiano portato un’aria di grande cambiamento anche in Lunigiana, Cinque Terre e Riviera.
Il punto di congiunzione tra Spezia e Lunigiana fu il ruolo dell’Università di Pisa, allora fortissimo, con il suo movimento di impronta operaista -dalle “Tesi della Sapienza” al gruppo Il Potere operaio pisano- che tanto influenzò il movimento delle aree circostanti. Fino alle “grandi occupazioni” delle scuole superiori del dicembre 1968, che ebbero l’epicentro nazionale nell’area tra Livorno e La Spezia, con l’Istituto Chimico di Carrara elemento trainante.
Le Cinque Terre non furono escluse dal grande fermento dell’epoca: anzi, erano “un’avanguardia sul mare”, meta di intellettuali provenienti da tutto il mondo, come André Leuba e Silvio Benedetto, che intrecciarono le loro vite con quelle dei giovani del posto. “I ragazzi di Riomaggiore e Manarola si formarono nell’interscambio con il ‘turismo culturale’, conoscendo un ‘mondo nuovo’ non limitato alla vigna e alla barca, come quello che avevano conosciuto fino ad allora”, ha detto Giorgio Pagano. Si spiegano anche così iniziative di partecipazione e di autogestione popolare come la costruzione della strada di Marina di Palaedo. Pagano non ha mancato di rilevare l’apporto innovativo di figure “storiche” come il manarolese Dario Capellini e Sergio Fregoso, intellettuale spezzino molto legato a Manarola.
Circa la Val di Vara, Pagano ha sottolineato che “il libro fondamentale di quegli anni fu ‘Lettera a una professoressa’ di don Lorenzo Milani” e che “la forza ‘eversiva’ del libro stava nell’interpretazione della società assai netta -da un lato i poveri e gli oppressi, dall’altro i ricchi e gli oppressori- e nel linguaggio semplice, nella scrittura collettiva, nella politica ancorata all’esperienza concreta, personale”. A Càssego, in Val di Vara, ha raccontato Pagano, don Sandro Lagomarsini “operò con lo stesso spirito e lo stesso fine di don Milani: trasformare la sua Parrocchia in una scuola, per contrastare la selezione e trasmettere nuovi contenuti del sapere”. “La lezione di don Milani -ha continuato- fu decisiva anche per la maturazione di Linda Merciari, giovane maestra in Alta Val di Vara, raccontata nel suo ‘Diario di una maestra’, che va dal 1957 al 1999, un testo che ha una forza tale che avrebbe meritato un libro a parte”.
Molto interessante, infine, il confronto a Pontremoli con Alessandro Volpi, docente all’Università di Pisa, secondo cui “il Sessantotto fu una frattura rispetto agli anni Sessanta, perché superò le istanze precedenti mettendo al centro la creazione del partito rivoluzionario”. Per Pagano e Mirabello, invece, “il principio unificante del Sessantotto fu l’istanza liberatrice, la ‘presa di parola’, una contestazione onnicomprensiva in continuità con le culture degli anni Sessanta... dopo il Maggio francese, a poco a poco, tutto cominciò a cambiare, nella direzione della dottrina e delle vecchie nozioni organizzative... la cultura giovanile fu sì accolta, ma per essere profondamente trasformata, subordinata al linguaggio dell’antagonismo di classe”. La frattura si creò allora, non prima: “il ‘Sessantotto degli inizi’, libertario ed etico, chiuse una fase, quella dottrinaria e partitista venne dopo”. Ha concluso Mirabello: “si narra storia per fissare tracce di vita, magari anche vissuta, come è per gli autori del libro, storie che tuttavia, a distanza di pochi anni, andrebbero altrimenti perdute, e che, proprio perciò, vanno riannodate e documentate... si narra storia anche per parlare, in un’epoca piuttosto conformista come la nostra, di concezioni del mondo non conformiste quando, come nel Sessantotto, sembrò che tutto potesse cambiare”.