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Perché a Mazzini andò tutto storto e a Garibaldi invece no? In evidenza

Lo spiega Alberto Scaramuccia.

Sono un seguace di Passato e Presente, la trasmissione di Rai3 sulla storia che Paolo Mieli conduce con nomi importanti della ricerca storiografica (Villari, De Luna, Gentile, Pécout) affiancati da giovani studiosi.
Nel passato, adesso gli argomenti si sono spostati in avanti, si parlava spesso del Risorgimento e Mieli poneva sempre una domanda ai suoi interlocutori, "perché a Mazzini andò tutto storto e a Garibaldi invece no?"
L’immancabile risposta era che al nome di Garibaldi s’affiancava quello di Vittorio Emanuele.

Mi viene da pensare all’esperienza del ’49, della Repubblica romana.
Il popolo si ribella, Pio IX ripara a Gaeta, l’Assemblea costituente dichiara terminato il potere temporale del Papa, per difenderlo Parigi manda 6mila uomini al comando del generale Oudinot. Il suo piano è semplice: attestarsi a villa Corsini, un’altura su cui mettere in batteria le sue artiglierie e bombardare Roma per costringerla alla resa.
Garibaldi, che guida l’esercito repubblicano, risponde uscendo dalla città per affrontare in campo aperto i Francesi che vengono ricacciati indietro, potrebbe ributtarli a mare ma Mazzini lo blocca.
La Francia è una repubblica quindi per definizione è una cosa positiva che continua l’esperienza rivoluzionaria dell’89, il suo Presidente è un ex carbonaro.
Che a breve Napoleone III diventasse con un colpo di stato presidente a vita e poi imperatore, era una possibilità che Mazzini non adombrava.

Oudinot decise una tregua di sette giorni, in due si riportò a villa Corsini e l’esperienza di Roma repubblica finì.
Penso che in ogni caso la Repubblica avesse poche possibilità di sopravvivere ma Mazzini sbagliò imprigionato in un’ideologia che lo distrasse dalla realtà.

Così il simbolo culturale e iconico del Risorgimento e dell’Unità furono quei due cavalli che s’incontrarono a Teano o lì nei pressi, due mani che si stringono mentre il dittatore dell’Italia meridionale pronunzia le famose parole Saluto il Re d’Italia.
Innamorato fin da bambino de Il Gattopardo letto nella prima edizione del ’58 che conservo gelosamente, ripenso a quello che Tancredi dice al principe Zione annunziandogli la sua partenza per unirsi alle camicie rosse di Garibaldi: bisogna andare con quelli lì anche se sono diversi da noi perché altrimenti quelli ti combinano la repubblica.

Siamo sinceri, non è una grande soddisfazione ma l’alternativa reale quale era?

 

Alberto Scaramuccia

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