Anse è una corsa nella frenesia della vita, un viaggio in un tempo segnato dall’alienazione e da solitudini che si incrociano allo scoccare di sensazioni psicofisiche e suoni che abitano lo spazio, mai in modo invasivo. Nato dalla collaborazione tra Usine Baug e Mezzopalco – un collettivo artistico composto da sole voci, parte del Collettivo Zoopalco – lo spettacolo ha come protagonista Riccardo Iachini, che vive una notte qualunque, un martedì come tanti. Proprio per questo irripetibile. Proprio per questo unico.
Un giorno qualsiasi, nella gerarchia implacabile del tempo che scorre indisturbato. Solo, come solo si sente lui, perso tra paesaggi interiori che, grazie a un sapiente gioco di luci e suoni, trasportano lo spettatore in una dimensione onirica, immersa in quel surrealismo emotivo che nasce soprattutto da ciò che, lungo il cammino, si perde. Il protagonista vaga, corre, si affanna, si cerca ma non si trova – né in sé stesso né negli altri. Urla, parla d’amore, lo canta e lo piange, mentre la sua città lo respinge e lo abbandona. Una riflessione sul presente, figlio del passato e frammento di un domani incerto, ma non per questo meno autentico. Anse è poesia performativa che parla al cuore e alle orecchie, agli occhi e alla pancia. Unisce noi, disgregati, che – anche se respinti – troviamo ancora la forza di interrogarci.
Riccardo Iachini e Toi Giordani, Mezzopalco, hanno risposto per noi ad alcune domande.
Come vi è venuta l’idea di creare questo spettacolo, unendo il topos del “qui e ora” a quello della perdita?
IACHINI: “Non siamo partiti dal cosa, ma dal come. La nostra ricerca si concentra sulla poesia performativa e sulla vocalità. Durante una residenza al Casale di Bologna, ispirandoci al libro Disertate di Franco ‘Bifo’ Berardi, siamo riusciti a concepire l’intero impianto di questa esibizione”.
Nello spettacolo emerge una duplice condanna: da un lato, l’utopia dell’unicità; dall’altro, l’omologazione come via breve per l’accettazione sociale. Quale direzione scegliere per non ‘disunirsi’?
TOI: “Credo che accogliere la frammentazione permetta di vivere pienamente l’adesso e di restare connessi. Viviamo in un mondo dove l’unitarietà è un principio fondante, quasi un dogma. Ma non c’è nulla di sbagliato nel dare spazio alla propria molteplicità”.