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La Ditta Galeazzi, un’eccellenza che ha portato La Spezia nel mondo In evidenza

di Anna Mori - Leader nella produzione di attrezzature per la subacquea, ha avuto al suo attivo tanti brevetti e idee innovative che hanno trasformato il settore.

Ieri, 14 aprile, nel corso della cerimonia di donazione del Volume dedicato alla storia della Ditta Roberto Galeazzi, un’eccellenza spezzina nel campo delle apparecchiature per la subacquea, abbiamo incontrato Giancarlo Bartoli, co-autore dell’opera insieme a Fabio Vitale.
Giancarlo Bartoli è anche il genero di Roberto Galeazzi Junior e, nel corso dell’incontro, ha tracciato la storia dell’azienda della famiglia.

Le origini dell’azienda

Il Papa di Roberto Galeazzi Senior era abituato a gestire i suoi problemi a fil di spada. - ha esordito Giancarlo Bartoli - Faceva parte dei Carabinieri Livornesi, ha combattutto nella Battaglia di Mentana con Garibaldi, è stato ferito e fatto prigioniero dalle truppe franco-papaline. Suo figlio Roberto Senior, si è sposato nel 1910 e da qui è iniziata la storia della Ditta Galeazzi. Lui era interessato essenzialmente alla meccanica, non alla subacquea. Ha inventato nel 1918 il Cantiere Monoscalo, un procedimento di costruzione delle navi in serie, ripreso nel 1940-45 per la costruzione delle Liberty, quando gli USA riuscivano a produrre una nave al giorno.
Roberto Senior ha venduto questo primo brevetto del 1918 ai Cantieri Ansaldo di Genova, che per ringraziarlo gli regalarono un viaggio negli USA di 9 mesi insieme a tutta la sua famiglia per studiare il sistema di prioduzione americano. In quel periodo era in voga la teoria di Taylor, la costruzione in serie delle attrezzature, che è stata poi sviluppata da John Ford con la produzione in serie delle auto.
Negli stati Uniti Roberto Senior ha avuto modo di visitare tante realtà produttive, cominciando a pensare alla subacquea. Nel frattempo, infatti, aveva ricevuto incarico dai Cantieri Navali del Muggiano, dove aveva iniziato a collaborare con Laurenti, il padre dei sommergibili italiani, trasferendo le sue nozioni di meccanica nel campo della subacqua, e costruendo con Laurenti i sommergibili “Mille Lire”. La collaborazione è durata poco perché Laurenti venne a mancare abbastanza presto.

Il primo brevetto: la struttura sferica e la torretta butoscopica

Questo avvicinamento alla subacquea è iniziato subito dopo l'invezione del suo principale brevetto, la struttura sferica, con la quale aveva trasformato le costruzioni resistenti a pressione da cilindriche a strutture a settori di sfera, come la torretta butoscopica e lo scafandro. La sfera rispetto al cilindro, infatti, resiste alla pressione meglio, perché non è soggetta al buckling, allo strizzamento nelle parti centrali. Applicando questa struttura si ottiene un risparmio in peso, a parità di profondità, di un quarto.
Per dimostrare la validità di questo principio, ai Cantieri del Muggiano vennero costruiti dei simulacri di sommergibile, collaudati, confermando la resistenza sulla struttura.
Una volta assodato che questo principio era valido e portava vantaggi nelle attrezzature subacquee, Galeazzi aveva cominciato la costruzione della torretta butoscopica per la Marina Italiana. Nel frattempo, c'era stato anche un contatto con i palombari dell'Artiglio, con Alberto Giani, il quale aveva pensato un'apparecchiatura simile alla Torretta di Galeazzi e l'aveva realizzata, ma la struttura era difficilmente manovrabile perché pesantissima e tendeva a ribaltarsi.
Galeazzi, quindi, propose la sua struttura sferica e nel 1929 insieme a Giani realizzarono la prima Torretta Butoscopica, nome inventato dallo stesso Galeazzi dall'unione delle parole greche Butos (fondo) e scopos (guardare).

Il recupero del tesoro dell’Egypt

La Torretta venne usata dalla Ditta SOGIMA, la società genovese di recupero, che all’epoca stava lavorando sul relitto dell'Egypt, una nave che trasportava un tesoro in oro e argento destinato ad un Raja in India. Fu il carico più prezioso mai recuperato con 4 tonnellate d'oro e 45 d'argento. Poiché l'oro era costituito sia da lingotti, ma anche da monete, Galeazzi inventò per l'occasione l'aspiratore subacqueo, con il quale vennero recuperate le monete nelle casse alloggiate nelle stive della nave.
L'operazione venne completamente guidata da un palombaro dalla torretta che, telefonicamente, comunicava con la superficie e guidava la nave nella posa delle cariche esplosive, necessarie per eliminare i ponti superiori, e in seguito per tagliare e portare in superficie le laniere e recuperare il carico. L'operazione fu un grande successo.
Nel 1929-30 lavorare a 100 m di profondità era impossibile per i palombari, si poteva lavorare solo dalla superficie alla cieca. Grazie alla Torretta Butoscopica, i lavori iniziarono ad essere condotti con maggiore precisione.
Successivamente, si iniziò a parlare di batiscafo e di impianti di immersione nelle profondità. A Galeazzi questa parola non piaceva per cui coniò l’aggettivo “butoscopico”, perché diceva che i suoi apparecchi servivano per guardare il fondo non per andare nel fondo e quindi “butoscopico” definisce le attrezzature di Galeazzi e “batoscopico” tutte le altre.

Leader nel settore delle camere iperbariche

In seguito, il figlio Roberto Galeazzi Junior, tralasciò in parte la subacquea, portando avanti la costruzione di camere iperbariche. Negli anni '70 e '80 la Galeazzi divenne leader in Italia e nel bacino del Mediterraneo per questo prodotto, costruendo le più grandi installazioni presenti in Italia, ma non solo: nel 1972-73 la Galeazzi costruì a Marsiglia il più grande impianto iperbarico ospedaliero con nove camere di decompressione. Roberto Junior nel tempo aumentò anche la dotazione e la qualità delle stesse attrezzature di decompressione.

Il vestito da palombaro

Il vestito da Palombaro Galeazzi è stato ideato da Roberto Senior: all'epoca i vestiti erano già prodotti dalla Pirelli, ma unendo le parti con cuciture che poi venivano stagnate. Galeazzi invece iniziò ad assemblare i pezzi del vestito da palombaro incollandoli. In seguito Roberto Senior vendette il brevetto alla Pirelli.

Dagli abissi alla stratosfera

Sulla copertina dei due tomi del volume dedicato alla Ditta Galeazzi, possiamo osservare due scafandri, quello più scuro usato per andare sott'acqua, quello più chiaro nella stratosfera. Questo secondo scafandro, infatti, permetteva di proteggere i piloti degli aerei fino a 15.000 m di quota. Per cui applicando gli stessi principi della subacquea al contrario, Galeazzi aveva costruito uno scafando aeronautico che veniva inserito nella cabina di pilotaggio dell'aereo con un suo sistema di sicurezza con paracadute, e dall'interno il pilota poteva manovrare il velivolo, perché aveva la pedaliera e la cloche. Quindi dalle profondità abissali alla stratosfera.

La genesi del volume sulla Ditta Galeazzi

La genesi del libro deriva dal fatto che nel 1982 la ditta Galeazzi è stata venduta alla Drass di Bergamo, una società attiva nell'off-shore per la ricerca petrolifera, un'azienda economicamente molto forte e ben conosciuta negli anni '60 e '70. E poi c'era la Galeazzi, la fornitrice ufficiale della Marina Militare, che si stava espandendo nel campo delle camere iperbariche. All'Ing. Frigeni di Drass questa dittarella spezzina non piaceva molto, era un po' una spina nel fianco. Si sono verificate determinate situazioni, per cui Roberto Galeazzi Junior ha venduto alla Drass la sua azienda. L'intento dell'Ing. Frigeni era quello di far sparire il nome Galeazzi, assorbendo tutte le parti migliori per utilizzarle come Drass. Questo obiettivo portò a distruggere tutti gli archivi cartacei dell’azienda, i progetti, le specifiche, i disegni, tutto dato alle fiamme.
Tuttavia l'Ing. Frigeni non conosceva bene l'azienda Galeazzi, che invece aveva l'abitudine di tenere copia di tutti i documenti, che venivano archiviati negli scantinati della residenza di famiglia, Villa Mina. “Quando sono mancati tutti i componenti della famiglia e siamo venuti in possesso di questo bene immobile, - ha spiegato Giancarlo Bartoli - negli scantinati della villa abbiamo trovato decine di bauli, pieni di documenti che coprono un arco temporale che va dagli anni ‘30 ai ‘50, con specifiche tecniche, trattati commerciali, la corrispondenza, un duplicato di tutto quello che veniva prodotto dalla Galeazzi. Trovato questo patrimonio di immagini, mi è venuta la voglia di scrivere la storia dell'azienda. Per cui, trovata questa fonte di documentazione, ho chiesto all'amico Fabio Vitale di scrivere insieme questo libro” conclude Bartoli.

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