In Val di Vara, ottobre non è solo una stagione: è un invito. A rallentare, a camminare, a cucinare. A vivere con quella calma che altrove si chiama lusso e qui è semplicemente abitudine.
Il fungo, in questo contesto, non è un ingrediente: è il filo conduttore di fine settimana che sanno di bosco, di cucina e di tavola condivisa.
Sabato scorso, ore otto della mattina. A Torza, un uomo sulla sessantina, baffi da maresciallo e passo da cacciatore, entra nel bosco insieme al figlio ventenne. Parlano poco. Ogni tanto si chinano, si scambiano un’occhiata, si passano il coltellino.
«Buono questo», dice il padre, indicando un porcino con la punta del bastone. Il figlio annuisce, lo raccoglie, lo ripone nel cestino con tutta l'attenzione possibile.
A mezzogiorno, a Varese Ligure, la cucina di una trattoria si anima. Sul tagliere, i funghi appena raccolti vengono puliti con gesti lenti, quasi affettuosi. La cuoca li fa saltare in padella con aglio, prezzemolo e un filo d’olio buono.
«Niente panna, mi raccomando», dice, con il tono di chi mette in chiaro un principio. Il profumo invade la sala, si mescola al vino rosso e alle chiacchiere dei primi clienti.
Nel giro di poco la tavola si allunga. Arrivano amici, cugini, vicini. I piatti si susseguono: tagliatelle ai finferli, polenta con misto di bosco, torta salata con ricotta e funghi secchi. Ogni portata è una storia, ogni bicchiere un brindisi.
Si parla di raccolta, di ricette, di quel fungo trovato sotto il castagno “che sembrava finto da quanto era bello”. Si ride, si discute, si mangia. E si sta bene, senza bisogno di dirlo.
La domenica mattina qualcuno riparte, qualcuno resta. I boschi sono ancora lì, i funghi anche. Ma il vero raccolto è altrove: nei gesti condivisi, nei sapori ritrovati, nella sensazione che — almeno per un fine settimana — la vita abbia ritrovato il suo ritmo giusto.
In Val di Vara, ottobre è questo: un pretesto gastronomico per ricordarsi che il tempo, se cucinato bene, può diventare felicità.







