Ogni estate, la Festa dell’Emigrante alle Grazie è un appuntamento in calendario per ‘connettere’ i residenti con i graziotti che sono emigrati dal borgo, ma lo tengono nel cuore, che diventano protagonisti di una serata per raccontare un pezzo della loro vita.
Quest’anno l’iniziativa si è risolta in un ponte di memoria tra due coste lontane: quella dell’Adriatico, da cui tanti pescatori partirono, e quella del Golfo, che li accolse. L’evento è stato organizzato dalla Pro Loco delle Grazie, dal Cantiere della Memoria (con l’impegno in prima del fondatore Corrado Ricci e di Roberto Celi presidente del Gruppo Fotografico Obiettivo Spezia), il supporto dell’Hotel della Baia, il patrocinio dei Comune di Portovenere, del Comune di San Benedetto del Tronto e di BIM Tronto. I saluti istituzionali sono stati portati dal Sindaco di Porto Venere Francesca Sturlese, dal Consigliere regionale Giovanni Boitano e dal presidente di BIM Tronto Luigi Contisciani.
Sabato 8 agosto nella pineta delle Grazie la Festa dell’Emigrante è stata l’occasione per presentare il libro di Fernanda Ciferni “La storia, le storie - Racconti e immagini dell’emigrazione marinara sambenedettese nel Golfo della Spezia”, l’introduzione al testo è di Giuseppe Merlini. Il volume è la restituzione della ricerca condotta dall’autrice e volta a ricostruire i flussi migratori da San Benedetto del Tronto al Golfo della Spezia tra il 1880 e il 1965. Franca traccia con dovizia di particolari anche la storia delle famiglie sanbenedettesi che sono emigrate, raccontando aneddoti, personaggi, tradizioni e tratti della cultura che ben si integrò con quella graziotta, lericina e di Bocca di Magra, i tre luoghi dove si stanziarono le famiglie nel golfo.
La storia della comunità sambenedettese arrivata qui, infatti, è fatta di nomi, volti e mani callose di marinai che portarono con sé un patrimonio di saperi e tradizioni. Il motivo che spinse ad emigrare fu la ricerca di un porto sicuro: le acque dell’Adriatico quando in tempesta erano agitate e la costa senza insenature dove ripararsi. Molti i pescatori che perivano in mare.
Tra il 1880 e il 1965, famiglie come gli Spazzafumo, Romani, Massi, Pandolfi, Bruni, Palestini, Quondamatteo, Merlini e molte altre lasciarono San Benedetto del Tronto, spesso con le proprie imbarcazioni cariche di reti, attrezzi e speranze. L’approdo non era sempre lo stesso: c’era chi trovava casa alle Grazie, chi a Lerici e chi a Bocca di Magra. Erano uomini del mare, ma anche famiglie intere pronte a ricominciare.
Non erano emigranti qualsiasi: erano pescatori esperti, custodi di una civiltà marinara che racchiudeva non solo tecniche di pesca, ma anche un intero mondo di credenze, feste religiose legate al mare, canti, dialetti e un forte senso di comunità. Portavano con sé imbarcazioni robuste – le paranze, lunghe 15 metri con vela latina, capaci di pescare per due settimane in mare aperto; le lancette, piccole e agili, adatte a pescare dall’alba al tramonto; i papagnotti, più larghi e pesanti per uscite di alcuni giorni; e i barchetti, con due alberi e lunghi fino a 15 metri, pensati per la pesca settimanale. Tutte costruite per la pesca “a coppia”, una tecnica in cui due barche calavano e trainavano le reti insieme, mantenendo una distanza precisa.
Il loro arrivo nel Golfo significò anche nuove rotte commerciali e tecniche di conservazione del pescato, oltre a un’inedita organizzazione del lavoro a terra: nei pressi delle calate, le famiglie sistemavano le case, i magazzini per le reti, le aree per la salatura del pesce. Si creava così un microcosmo marchigiano in terra ligure, che nel tempo si sarebbe intrecciato con la comunità locale.
Non mancarono figure carismatiche. Anna Maloni e la marchesa Anna Quondamatteo furono colonne portanti della comunità, capaci di mantenere saldo il legame tra chi restava e chi partiva per mare. Francesco Palestini (1938-2009), detto il “marinaio pittore”, sapeva catturare nei suoi quadri il luccichio dell’acqua al tramonto o il profilo delle vele all’orizzonte.
Nella memoria collettiva della comunità resta anche il simbolo del gabbiano Jonathan, emblema della tenacia dei pescatori sambenedettesi, un monumento è stato eretto sul lungomare di San Benedetto: instancabili, silenziosi, sempre pronti a superare ostacoli e a spingersi verso nuovi orizzonti, proprio come gli uccelli di mare che non si arrendono al vento contrario.
Gli interventi della serata
Giuseppe Merlini
Archivista dell’Archivio Storico Comunale di San Benedetto del Tronto, Merlini ha condotto il pubblico in un viaggio nella civiltà marinara, spiegando come essa comprenda non solo la pesca, ma anche riti, credenze e istituzioni che scandivano la vita della “gente di mare”. Ha descritto in dettaglio le imbarcazioni – paranze, lancette, papagnotti, barchetti – illustrando lunghezze, equipaggi e tecniche di navigazione. Ha ricordato come l’introduzione del motore nel 1912 abbia rivoluzionato il lavoro e la quotidianità dei pescatori, cambiando per sempre i ritmi di vita dei borghi marinari.
Fernanda Ciferni
Con un approccio più legato alla memoria familiare e collettiva, Ciferni ha raccontato i risultati della sua ricerca, parlando delle ondate migratorie dal 1880 agli anni ’60, intrecciando l’elenco delle famiglie con aneddoti e ricordi. Ha descritto i luoghi simbolo della comunità alle Grazie – il convento, la calata, il santuario – e ha reso omaggio a figure femminili come Anna Maloni e la marchesa Quondamatteo, ricordando la loro centralità nella coesione della comunità. Il suo intervento ha saputo restituire il calore umano delle storie, trasformando date e nomi in volti vivi e momenti condivisi.
Leon Carassale
Nonostante la giovane età, 12 anni, è un grande appassionato di storia locale ed è discendente di una delle famiglie arrivate da San Benedetto. Leon ha dedicato un video composto da lui stesso con fotografie d’epoca sulle Grazie e i personaggi delle famiglie giunte nel borgo. In sottofondo la canzone dei pescatori sanbenedettesi “Nuttata de Luna”. Nel secondo intervento Leon ha ripercorso la storia della sua famiglia, che da San Benedetto è giunta alle Grazie dopo che il capostipite perì in mare e la moglie vedova con tre figli decise di emigrare.
Le famiglie sambenedettesi arrivate nel Golfo (1880-1960) secondo la ricerca di Fernanda Ciferni
- 1880-1890: Spazzafumo / Romani, Massi / Renzetti, Di Carlo
- 1890-1900: Pandolfi, Di Domenico
- 1900-1910: Spina / Maloni, Maccaferro
- 1910-1920: Romani / Patrizi, Quondamatteo / Liberati, Bruni / Guidotti
- 1920-1930: Paci / Paolini, Paci / Liberati
- 1955-1965: Palestini, Bruni, Ricci
Altre famiglie: Ascolani, Brandimarte, Bruni, Cosignani, Cupido, Torquati, Fanesi, Farina, Feliziani, Giorgetti, Guidi, Spaletra, Spazzafumo, Speziali, Marcheggiani, Spinozzi, Straccia, Pignotti, Tavoletti, Bernardini, Tremaroli, Trevisani, Urriani, Marconi, Palma, Guidotti, Andrenelli, Malavolta, Liberati, Paci, Massi, Maccaferro, Mazza, Merlini, Piergallini, Mignini, Mosca, Novelli, Palestini, Pandolfi, Patrizi, Poliandri, Pompei, Ricci, Pulcini, Renzetti, Rosati, Rosetti, Sciarra, Voltattorni, Quondamatteo, Maloni, Sebastiani, Sabatini, Romani, Piattoni
Le barche della civiltà marinara sambenedettese, come spiegate da Giuseppe Merlini
Paranza
• Lunghezza: 15 m – Larghezza: 4 / 4,50 m
• Coperta, due boccaporti – altezza di stiva 1,50/1,70 m
• Equipaggio: 10 marinai – vela latina con antenna da 24 m
• Autonomia di pesca: 15 giorni – fondo piatto per approdi in burrasca
Lancetta
• Lunghezza: 9 m – Larghezza: 2,50 m
• Senza coperta – 3 t circa
• Vela quadra o greca – fondo piatto per il ritiro in spiaggia
• Pesca giornaliera dall’alba al tramonto – equipaggio: 4-5 marinai
Papagnotto
• Lunghezza: 10 m – Larghezza: 4,50 m – 10 t circa
• Vela quadra o greca – pesca di conserva come le paranze
• Autonomia: max 3 giorni – equipaggio: 5-6 marinai
Barchetto
• Lunghezza: 12-15 m – Larghezza: 4 m – 24 t circa
• Due alberi (uno lungo quanto lo scafo, l’altro 4/5 del primo)
• Pesca settimanale (lunedì-sabato) – equipaggio: 6-8 marinai







